C'è ancora spazio per la crescita? (Gruppo Pisa)

1) Quali sono gli elementi di crisi, sul piano delle risorse, della contaminazione ambientale, delle disparità sociali, che mettono in crisi la crescita?

1.1 Elementi di crisi sul piano delle risorse

Fonte da consultare il Rapporto dell'Agenzia Internazionale dell'Energia. Oltre alle dipendenze dal petrolio è
importante ricordare la questione agricoltura.

1.2 Elementi di crisi sul piano della contaminazione ambientale

Come contributo informativo riportiamo la sintesi dello studio “Planetary Boundaries: Exploring the Safe Operating Space for Humanity” (URL: http://www.ecologyandsociety.org/vol14/iss2/art32/), pubblicato nel 2009 sotto licenza della Resilience Alliance da un folto numero di ricercatori provenienti da diversi istituti in tutto il mondo.
Lo studio mette bene in evidenza che esistono parametri attraverso i quali possiamo monitorare la contaminazione ambientale. Se esistono incertezze e elementi da approfondire, è invece certo che non riusciremo facilmente a prevedere l'effetto (anche combinato) del superamento di ognuno dei limiti sugli altri.

Secondo lo studio abbiamo superato già 3 dei 9 limiti considerati (quello dei cambiamenti climatici, quello della perdita di biodiversità, quello del ciclo dell'azoto), urge quindi che la società complessivamente intesa almeno affronti le questioni che incidono direttamente sul loro superamento e in tempi brevi. La scelta politica di una trasformazione della società in un'ottica di riduzione del tasso di crescita economica o di una vera e propria decrescita ci sembra diventi premessa per raggiungere l'obiettivo di restare all'interno dei limiti del pianeta elencati nello studio.

I 9 limiti del pianeta

1. Cambiamenti climatici
2. Acidificazione degli oceani
3. Riduzione dell'ozono stratosferico
4. Perdita della biodiversità
5. Dispersione di sostanze chimiche (inquinamento chimico)
6. Consumo della acqua dolce e il ciclo idrogeologico globale
7. Cambiamento di uso della terra
8. Immissione di azoto e fosforo nella biosfera e negli oceani
9. Carico di aerosol atmosferico

Climate Change

Cambiamenti climatici
Abbiamo raggiunto il punto in cui lo scioglimento estivo dei ghiacci polari è quasi certamente irreversibile. Dal punto di vista della Terra come sistema complesso, questo è un esempio della soglia netta oltre la quale forti meccanismi di feedback potrebbero portare la Terra verso un sistema molto più caldo, con alte concentrazioni di gas-serra e con livelli dei mari alcuni metri sopra l'attuale. La riduzione o l'inversione dell'assorbimento di CO2 da parte dei serbatoi terrestri (sink biosferici: oceani e foreste), per esempio attraverso la continua distruzione delle foreste pluviali, è un altro punto critico interdipendente. Dati recenti suggeriscono che il Sistema Terra, con oltre 387 ppmv (parti per milione in volume) di CO2, ha già superato questo limite planetario (350 ppmv). Una questione importante è quanto a lungo possiamo restare oltre questo limite, prima che cambiamenti
irreversibili di grandi dimensioni diventino inevitabili.

Acidificazione degli oceani
Circa un quarto della CO2 che l'umanità produce viene assorbita e disciolta negli oceani. Qui si forma acido carbonico, che altera la chimica marina e abbassa il pH delle acque di superficie. Una maggiore acidità riduce la quantità di ioni di carbonato disponibili, un componente essenziale delle conchiglie e dello scheletro di organismi come coralli e alcune specie di crostacei e plancton. Questo cambierà seriamente l'ecologia degli oceani e potenzialmente porterà ad una drastica riduzione degli stock ittici. Rispetto al periodo pre-industriale, l'acidità dell'oceano superficie è aumentata del 30%. La soglia per l'acidificazione degli oceani è un chiaro esempio di un confine che, se superato, indurrà grandi cambiamenti negli ecosistemi marini, con conseguenze
per tutto il pianeta. È anche un buon esempio di come sono strettamente collegati i limiti, dal momento che la concentrazione atmosferica di CO2 è la variabile di controllo sottostante, sia per il clima, sia per il limite di acidificazione degli oceani.

Riduzione dello strato di ozono stratosferico
Lo strato di ozono stratosferico filtra i raggi ultravioletti del sole. Se questo strato diminuisce, una crescente quantità di raggi ultravioletti (UV) raggiungerà il suolo e potrà causare una maggiore incidenza di cancro della pelle negli esseri umani così come danni ai sistemi biologici terrestri e marini. La comparsa del buco dell'ozono antartico dimostrò che l'aumento di sostanze di origine antropica che riducono l'ozono, in combinazione con nubi stratosferiche polari, aveva spostato l'equilibrio della stratosfera antartica ad un nuovo regime.
Fortunatamente, in seguito alle azioni intraprese a seguito del Protocollo di Montreal, sembra che siamo sulla via che permetterà di rimanere all'interno di questo limite.

Apporti di azoto e fosforo nella biosfera e negli oceani
La modifica del ciclo dell'azoto per opera umana è ancora maggiore di quella del ciclo del carbonio. L'azoto atmosferico convertito in forma reattiva per attività umana supera ormai il totale dell'azoto convertito in tutti i processi naturali terrestri messi insieme. Gran parte di questo nuovo azoto reattivo inquina corsi d'acqua e zone costiere, viene emesso in atmosfera in varie forme e si accumula nella biosfera. Solo una piccola percentuale dei fertilizzanti utilizzati per i sistemi di produzione alimentare, è assorbito da piante. Una frazione significativa dell'azoto e del fosforo somministrati ai campi si incammina verso il mare, e può spingere i sistemi marini e acquatici oltre le proprie soglie. Un esempio concreto di questo effetto è la diminuzione delle catture di gamberi
nel Golfo del Messico a causa di ipossia causata da fertilizzanti trasportati dei fiumi del Midwest degli Stati Uniti.

Consumo d'acqua dolce e il ciclo idrologico globale
Il ciclo dell'acqua dolce è un aspetto importante che determina il non superamento del limite climatico ed è anche fortemente influenzato dai cambiamenti climatici. La pressione umana è ormai la forza trainante che domina la funzione e la distribuzione dei sistemi d'acqua dolce a livello mondiale. Gli effetti sono drammatici, includono sia i cambiamenti delle portate dei fiumi su scala globale, sia lo spostamento dei flussi di vapore dovuti ai cambiamenti d'uso dei terreni. L'acqua sta diventando sempre più scarsa e si prevede che nel 2050 circa mezzo miliardo di persone si troveranno in grave carenza di acqua. La proposta di una soglia relativa al consumo d'acqua dolce ha lo scopo di mantenere la resilienza complessiva del sistema Terra e si dovrebbero
fissare soglie locali e regionali che evitino il superamento dei limiti a valle.

Cambiamento di uso della terra
La terra è stata convertita ad uso umano, in tutto il pianeta. Le foreste, zone umide e altri tipi di vegetazione sono stati convertiti in primo luogo a terreni per uso agricolo, oltre che impermeabilizzati da costruzioni o altre coperture (asfalto, serre ecc.). Questo cambiamento di uso del terreno è una forza motrice della riduzione della biodiversità e ha un impatto sui flussi di acqua così come sul ciclo del carbonio e altri cicli ancora. Il cambiamento degli strati superficiali del terreno si verifica su scala locale e regionale, ma considerato complessivamente appare avere un impatto sul Sistema Terra in scala globale. Una grande difficoltà per la fissazione di un limite sull'uso del suolo sta nel decidere non solo la quantità necessaria di terreno convertito e
non, ma anche sulla loro funzione, qualità e distribuzione geografica.

Perdita della biodiversità
Nel Millennium Ecosystem Assessment del 2005, fu concluso che i cambiamenti nella biodiversità dovuti ad attività umane erano stati più rapidi negli ultimi 50 anni che in qualsiasi altro momento nella storia umana; inoltre i motori del cambiamento, causa della perdita di biodiversità e della modifica dei servizi dell'ecosistema, sono costanti, infatti non mostrano segni di declino nel corso del tempo, oppure stanno aumentando di intensità. Questi alti tassi di estinzione potrebbero essere rallentati con progetti giudiziosi che migliorino gli habitat e costruiscano una connettività adeguata mantenendo alta la produttività agricola. Sono necessarie ulteriori ricerche per determinare se un limite basato sulla velocità di estinzione è sufficiente, e se vi sono dati affidabili per sostenerlo.

Carico di aerosol atmosferico
Consideriamo questo un limite planetario per due ragioni principali: (i) l'influenza degli aerosol sul sistema climatico e (ii) i loro effetti nocivi sulla salute umana a scala regionale e globale. Senza particelle di aerosol nell'atmosfera, non avremmo nuvole. La maggior parte delle nuvole e delle particelle di aerosol agiscono raffreddando il pianeta poiché riflettono verso lo spazio la luce solare. Alcune particelle (ad esempio la fuliggine) e le nubi alte e sottili producono un effetto serra e riscaldano il pianeta. Inoltre, è dimostrato che gli aerosol influiscono sulla circolazione dei monsoni e dei sistemi di circolazione di aria su scala globale. Le
particelle hanno anche effetti negativi sulla salute umana, causando circa 800.000 morti premature ogni anno nel mondo. Mentre tutti queste reazioni sono state ben stabiliti, i legami causali diretti (in particolare per quanto riguarda gli effetti sulla salute), sono ancora da determinare. Non è ancora possibile specificare un valore limite entro il quale si verificheranno effetti su scala globale, ma il carico di aerosol è così determinante per il clima e la salute umana che è stato inserito tra i limiti planetari.

Dispersione di sostanze chimiche
Le emissioni di composti tossici persistenti come metalli, composti organici e radionuclidi, rappresentano uno dei principali cambiamenti antropici nell'ambiente planetario. Ci sono una serie di esempi di effetti additivi e sinergici dovuti da tali composti sugli esseri umani e non. Questi effetti sono potenzialmente irreversibili. In particolare preoccupano gli effetti di riduzione della fertilità e soprattutto i potenziali danni genetici permanenti. Per esempio, l'assorbimento e l'accumulo nell'organismo a livelli sub-letali causa sempre più spesso una drastica riduzione della popolazione di uccelli e mammiferi marini. Al momento, non siamo in grado di quantificare questo limite; comunque, è considerato sufficientemente ben definito essere sulla lista.

 

1.3 Disparità sociali

i) Studio di Palma sulla distribuzione del reddito negli USA: un confronto tra i redditi del 10% più ricco e il 90% più povero, dalla crisi del 1929 ai giorni nostri. Dalla crisi al 1973 (crisi petrolifera) i redditi delle due fasce di popolazione aumentano quasi parallelamente, con un leggero vantaggio a carico della fascia del 90% più povero. Dal 1973 la fascia di popolazione più povera resta sostanzialmente stabile sul livello di reddito raggiunto, mentre il reddito della fascia di popolazione più ricca sale esponenzialmente verso l'alto denunciando un aumento di reddito vertiginoso. In sostanza la crescita economica negli USA a partire dal 1973 è stata totalmente assorbita dalla fascia più ricca, una crescita che a parte gli ultimi anni è stata sempre a livelli discreti (4-5 %). I dati, posti in relazione al dogma che vuole che un'economia debba essere sempre in crescita, porta a chiedersi veramente a cosa è servito crescere ? A far crescere i redditi dei più ricchi.

ii) “Popolazione e sviluppo nelle regioni del mondo” di A.Angeli e S.Salvini: Negli ultimi quarant’anni le condizioni di vita a livello internazionale sono andate gradualmente convergendo e, pur partendo da una base più bassa, i Paesi in Via di Sviluppo si sono avvicinati ai paesi ricchi in diversi ambiti quali la sopravvivenza, la mortalità infantile, l’alfabetizzazione. Tuttavia il processo di avvicinamento sta attualmente rallentando; le differenze nello sviluppo tra paesi poveri e ricchi in alcuni casi si riducano lentamente ed in altri stanno aumentando, tanto che negli ultimi Rapporti sullo sviluppo umano ci si chiede se si sia arrivati alla fine di tale “convergenza”. Queste problematiche possono essere risolte solo a livello sopranazionale, attraverso il rafforzamento degli aiuti allo sviluppo (che negli ultimi anni sembra aver subito inversione di tendenza) per intervenire sul piano politico ed operativo. Come molte correnti di pensiero ritengono giusto che all’interno di ogni paese si attui un principio di solidarietà tra cittadini a diversi livelli di reddito o tra regioni più ricche e più povere, così lo stesso principio può essere sostenuto nei rapporti tra paesi diversi (Buggeri e Volpi 2006).

iii) La tabella dei delle prime 100 economie per PIL e fatturato in milioni di dollari (Fonte: Banca Mondiale e Fortune 2009) mostra come importanti stati nazionali hanno una ricchezza in PIL più bassa di certe multinazionali.

Fatturati 2009

 

iii) La tabella dei delle prime 100 economie per PIL e fatturato in milioni di dollari (Fonte: Banca Mondiale e Fortune 2009) mostra come importanti stati nazionali hanno una ricchezza in PIL più bassa di certe multinazionali.

Impronte ecologiche

 

 

2) Le fonti rinnovabili potranno fornirci la stessa energia che ci hanno fornito i combustibili fossili? L'efficienza potrà bastare a sopperire la riduzione energetica e la scarsità di risorse prossime venture? Anche se avessimo energia in abbondanza gli altri aspetti (risorse e rifiuti) consentono l'espansione ad oltranza di produzione e consumi?

2.1 Fonti rinnovabili

Il Gruppo di Studio si è soffermato sulla situazione italiana per quanto riguarda il contributo delle fonti rinnovabili. Secondo l'analisi svolta dal gruppo, le fonti rinnovabili potrebbero fornire un contributo energetico in Italia se non della stessa quantità e qualità di quello dei combustibili fossili, almeno in una quantità dello stesso ordine di grandezza del fabbisogno energetico futuro, in particolare di quello al 2020. Il documento dalle quali sono state tratte le considerazioni è "Fonti rinnovabili in Italia e problematiche per l'applicazione" di Domenico Coiante pubblicato sul sito http://www.aspoitalia.it, maggio 2009.
Note: Mtep=milioni di tonnellate equivalenti di petrolio
La sintesi delle conclusioni a cui arriva il contributo di Coiante sono le seguenti.
La prima considerazione è che il potenziale energetico delle fonti rinnovabili che può essere calcolato nella misura di 137 Mtep è paragonabile al fabbisogno nazionale d'energia italiano che l'Unione Europea e che lo stesso calcolo di Coiante prevedono per l'Italia per il 2020.
Il fabbisogno energetico del 2007 è stato di 194,2 Mtep, ma se si fa la proiezione al 2020, sia del PIL, sia della intensità energetica (definita come la quantità d’energia primaria necessaria per produrre 1000 euro di PIL), il punto di incontro delle due proiezioni (cioè il loro prodotto matematico) rappresenta il fabbisogno energetico italano futuro. Questo valore è di 164 Mtep. Per riferimento, a fronte di un fabbisogno totale di energia primaria nel 2007 di 194,2 Mtep le componenti del bilancio erano le seguenti:
- fossili: 169,7 Mtep (87,37%)
- Rinnovaili: 14,3 Mtep (7,36%)
- Elettricita' importata: 10,2 Mtep (5,25%)
La previsione UE del fabbisogno energetico italiano al 2020, molto vicina a quella confermata nell'articolo, è di 167 Mtep, circa il valore del fabbisogno del 1994.
L'intermittenza non prevedibile della produzione energetica delle fonti rinnovabili (in particolare quella eolica, ma anche quella fotovoltaica anche se l'interruzione notturna e' meno grave) introduce barriere tecniche ed economiche che impediscono di produrre quantità di energia elettrica "rinnovabile" in misura significativa. La situazione delle varie fonti energetiche rinnovabili è la seguente:
- Idroelettrico, geotermoelettrico e biocombustibili, hanno praticamente raggiunto la saturazione del potenziale
praticabile;
- il solare termico, le biomasse e i rifiuti solidi urbani, hanno ancora davanti un certo margine di sfruttamento del potenziale; ritoccando le incentivazioni in modo da produrre un aumento del tasso di crescita annuale degli impianti si potrebbe recuperare la situazione deficitaria rispetto all'obiettivo del Pacchetto 20-20-20;
- Il potenziale possibile dell'eolico in Italia è limitato dalla disponibilità di siti ventosi e dall'intermittenza della produzione. C'è un grande tasso di crescita del settore, ma si prevede che lo sfruttamento di tutto il potenziale eolico praticabile possa completarsi entro il 2020.

- Per il fotovoltaico, invece, il potenziale possibile è molto grande (144 Mtep), ma il potenziale praticabile è del tutto marginale (3-4 Mtep) sia per scarsità dell'incentivazione, sia per l'intermittenza della produzione. Gli attuali impianti fotovoltaici sono sistemi in connessione diretta alla rete elettrica, cioè non hanno un sistema di accumulo di energia, che tipicamente è rappresentato da delle batterie elettriche, ma ci possono essere anche altre soluzioni tecnologiche (sali fusi, idrogeno). L'intermittenza non prevedibile di questi impianti in connessione diretta permetteranno una sostituzione marginale dei combustibili fossili e non riusciranno nemmeno a rispettare gli impegni verso l'UE: previsti dal pacchetto 20-20-20. Questa direttiva prevede la riduzione del 20% delle emissioni di CO2 rispetto al valore del 1990, la produzione del 20% della domanda d’energia da fonti rinnovabili, la riduzione del 20% dei consumi energetici mediante il miglioramento dell’efficienza nell’uso. In particolare per l'Italia l'obiettivo della produzione da rinnovabili è del 17%.
Applicando questa percentuale alla previsione UE di 167 Mtep calcolata prima la produzione attesa di rinnovabili al 2020 dovrà essere di 28,4 Mtep.
Se si vuole raggiungere questo livello di produzione occorre intervenire da subito con azioni di R&S sul sistema dell'offerta di rinnovabili migliorando le tecnologie in modo da superare le barriere tecniche ed economiche, soprattutto occorre completare i sistemi di produzione con sistemi di accumulo dell'energia (batterie e altre tecniche) a basso costo in modo da garantire la continuità temporale dell'erogazione di energia alle utenze.
Senza questi interventi, le incentivazioni pubbliche attuali poste sullo sviluppo del mercato rischiano di produrre risultati poco efficaci rispetto all'obiettivo del Pacchetto UE 20-20-20 e, soprattutto, rispetto alle necessità di sostituzione dei combustibili fossili in vista del risanamento ambientale generale.
Tecnicamente un buon strumento di valutazione della bontà di un investimento energetico è il cosiddetto “Ritorno energetico sull’investimento energetico” noto anche con l’acronimo inglese di EROEI (ovvero “Energy Return On Energy Investment”). Esso offre un criterio di giudizio per le soluzioni energetiche in quanto è calcolato con il rapporto fra l’energia che un impianto produrrà durante la sua vita attiva e l'energia che è necessaria per costruire, mantenere, e poi smantellare l'impianto. Siccome l’energia è una grandezza fisica, il giudizio espresso con l'EROEI non è influenzato dai tassi di inflazione, dai tassi di sconto, dai prezzi di mercato, eccetera. L’energia poi è un bene fondamentale per la società umana, quindi se un impianto porta un ritorno utile (ovvero un EROEI maggiore di 1, possibilmente molto maggiore di 1) sarà stato sempre un buon investimento per la società stessa.

eorei

Come suggerisce la tabella esistono tecnologie che hanno ritorni energetici (EROEI) più che buoni, anche se a tutt’oggi non ancora così buoni come quelli del petrolio degli anni d’oro. Ed anche le rinnovabili hanno EROEI altrettanto buoni se non superiori, di tecnologie che a volte vengono presentate come “l’unica possibile soluzione per la crisi energetica” (per esempio, carbone o petrolio oggi).
Detto questo pur essendo l’EROEI un buon strumento di valutazione ovviamente, nella scelta di una tecnologia, esso non è l’unico parametro da considerare. Fattori di vario tipo, incluso ambientali, strategici ed etici, giocano un ruolo importante. Per esempio, il carbone, che pure ha un EROEI accettabile, ha lo svantaggio di essere la tecnologia che emette la maggior quantità di CO2 a parità di energia elettrica prodotta. Evidentemente, anche se l’EROEI del carbone fosse molto migliore di quello che è, non varrebbe la pena rischiare un catastrofico effetto serra planetario.
Come suggerisce la tabella esistono tecnologie che hanno ritorni energetici (EROEI) più che buoni, anche se a tutt’oggi non ancora così buoni come quelli del petrolio degli anni d’oro. Ed anche le rinnovabili hanno EROEI altrettanto buoni se non  superiori, di tecnologie che a volte vengono presentate come “l’unica possibile soluzione per la crisi energetica” (per esempio, carbone o petrolio oggi).
Detto questo pur essendo l’EROEI un buon strumento di valutazione ovviamente, nella scelta di una tecnologia, esso non è l’unico parametro da considerare. Fattori di vario tipo, incluso ambientali, strategici ed etici, giocano un ruolo importante. Per esempio, il carbone, che pure ha un EROEI accettabile, ha lo svantaggio di essere la tecnologia che emette la maggior quantità di CO2 a parità di energia elettrica prodotta. Evidentemente, anche se l’EROEI del carbone fosse molto migliore di quello che è, non varrebbe la pena rischiare un catastrofico effetto serra planetario.

2.2 Il ruolo dell'efficienza energetica (L'efficienza potrà bastare a sopperire la riduzione energetica e la scarsità di risorse prossime venture? )

La domanda è fondamentale perché la maggioranza delle persone e dei politici delle nostre società cosiddette sviluppate fanno proprio affidamento allo sviluppo tecnologico e in particolare sull'efficienza energetica per sperare che saremo capaci di mantenere uno scenario di crescita economica nonostante la scarsità delle risorse e la necessità di ridurre la produzione energetica per prevenire il cambiamento climatico. Uno slogan che condensa questo atteggiamento è il “Decoupling” (disaccoppiamento). Ma la tesi del gruppo di studio è che seppure importante da sviluppare l'efficienza non riuscirà ad essere risolutiva a causa degli effetti di aumento dei consumi che inevitabilmente saranno indotti, come dimostrato dal noto economista inglese Jevons. Per argomentare la tesi il gruppo di studio propone dei contributi tratti dal sito italiano dell'associazione per lo studio del picco del petrolio.
Il principio (o paradosso) di Jevons è una sorpresa per molta gente, ma non è affatto un paradosso. E’ un fatto normalissimo nella vita di tutti i giorni; addirittura una conseguenza necessaria di come funziona l’economia e il cervello umano. William Stanley Jevons (1835-1882) è stato un grande economista che ha avuto delle intuizioni brillanti, che oggi chiameremmo “sistemiche”. In particolare, il suo lavoro del 1865 “The Coal Question”, è stato il primo lavoro scientifico a porsi il problema dell’esaurimento, arrivando a prevedere il “picco del carbone” in Inghilterra, sia pure non per una data precisa (si è verificato negli anni 1920). In questo lavoro Jevons si è posto anche il problema dell’efficienza e del risparmio, arrivando a esprimere il suo famoso “paradosso”: è’ una confusione di idee quella di supporre che l’uso economico di un combustibile è equivalente a ridurne i consumi; è vero proprio l’opposto. Il principio di Jevons (chiamato anche “Rebound Effect” o postulato di Khazzoom-Brookes”) è abbastanza ovvio: se uso una risorsa in modo più efficiente, ne potrò usare di più; cosa che normalmente verrà fatta. I risparmi fatti nell’uso di una certa risorsa possono essere anche trasferiti su un uso più intenso di un altra (note tratte da un articolo di Ugo Bardi: http://www.aspoitalia.it).
Quindi la domanda chiave in tema di efficienza energetica è proprio rivolta ad assicurare che le soluzioni tecnologiche, come per esempio l’aumento dell’efficienza nelle centrali elettriche, la cogenerazione, i motori elettrici efficienti, le coibentazione locali, le autovetture più efficienti, le lampadine a basso consumo, etc…., bastino da sole ad assicurare una riduzione della domanda di energia. Per rispondere però Marco Bertoli (note tratte da un suo articolo sul sito http://www.aspoitalia.it)distingue due diversi ambiti economici: quello della produzione e quello del consumo.
Riguardo la produzione, le soluzioni proposte cadono inevitabilmente nella tagliola del paradosso di Jevons. Inoltre, bisogna anche ricordare che tutta l'evoluzione industriale è una lunga storia di aumenti di efficienza nello sfruttamento di ogni risorsa produttiva, sia essa l'energia, il lavoro, il credito o le materie prime. E i dati di lungo periodo sui consumi delle risorse sono inesorabilmente in ascesa, malgrado i guadagni in efficienza e produttività siano sotto gli occhi di tutti. Alla luce di ciò, sarebbe il caso di far cadere il mito della recalcitranza degli imprenditori di fronte a questi interventi: in verità, l'investimento in efficienza è puro e semplice business as usual.
Per quanto riguarda l'ambito del consumo invece il paradosso di Jevons si applica in modo differente: il mondo del cosiddetto “consumatore” risponde a logiche molto diverse. Secondo le teorie economiche più classiche, gli individui scelgono il livello di consumo di un bene che, compatibilmente con il proprio reddito e il prezzo, massimizza la loro Utilità. Il punto chiave è che secondo le stesse teorie l'Utilità degli individui è sempre crescente in funzione del consumo di un qualsiasi bene (Principio del Porcellino). Questo ragionamento vale anche per il contesto energetico: se grazie alla maggiore efficienza per raggiungere lo stesso livello di Utilità si può consumare meno energia, se l'individuo è un bel porcellino, questi non si accontenterà dell'utilità raggiunta in precedenza in quanto potrà raggiungerne una più alta a parità di spesa!

Il grafico in figura 1, con la linea verticale della nota 1, fa capire l’evidenza di questo ragionamento.efficienza

Esempi: con un'automobile più efficiente, a parità di spesa, si può anche accettare un lavoro più lontano da casa; con lampadine più efficienti, si può illuminare “meglio” casa installando più punti luce; dopo aver coibentato casa o dopo aver acquistato una  caldaia più efficiente, si può aumentare la temperatura di riscaldamento invernale, passando, per esempio, da 18 C° da 22 C°. In sintesi, a causa del Principio del Porcellino, il paradosso di Jevons torna ad essere valido anche per il consumo di energia.
Naturalmente questo non significa che i miglioramenti di efficienza energetica nei prodotti di consumo non debbano essere perseguiti ed incentivati. Essi hanno il pregio di aumentare il livello di Resilienza della società, nella sua accezione ingegneristica, cioè in termini di resistenza alle forze di rottura. In caso di forti aumenti del prezzo dell'energia, ci si può aspettare che i consumi (kW/anno) diminuiscano; graficamente che ci sposti dalla verticale 1 alla verticale 2. In questa evenienza chi ha fatto interventi di efficienza energetica (curva rossa) parte da ed arriva su livelli di utilità superiori rispetto a chi non li ha fatti (curva nera). Questo può fare la differenza negli atteggiamenti egoistici o meno nell’opinione pubblica.
Ma in realtà non è vero che, in un dato periodo di tempo, quanto più consumiamo tanto stiamo meglio e quindi dobbiamo invece ammettere che ad un certo livello di consumo, l'Utilità raggiunge un livello massimo, per poi cadere.

Il grafico di figura 2 mostra questo concetto; il punto oltre il quale l'Utilità decresce viene chiamato bliss point (punto di sazietà).

bliss point

Le ricerche dimostrano però che il bliss point esiste per ciascun individuo, ma non viene mai raggiunto. I dati sul consumo per  individuo nei paesi occidentali crescono dagli inizi della rivoluzione industriale e, allo stesso modo, alcune ricerche hanno  dimostrato che il bisogno di denaro da parte degli individui non è mai sazio. In molti si sono interrogati su questo tipo di  comportamento umano dando risposte varie.
Tornando alla questione della domanda di energia possiamo considerare che le associazioni ambientaliste e i movimenti per la decrescita, informando sui benefici di uno stile di vita più sobrio e sugli effetti devastanti dell'eccessivo consumo di energia, aiutino ad evitare il continuo spostamento del bliss point degli individui. Tuttavia certi messaggi legati alla sobrietà difficilmente raggiungono una massa critica di popolazione.
Al contrario è sicuro che il persuasore più efficace nel determinare il livello di consumo di un bene è il suo prezzo. E proprio facendo leva su quest'ultimo, si può prevenire che l'effetto Porcellino vanifichi i benefici degli investimenti in efficienza, proponendo politiche che dando per scontato che si usino mezzi efficienti applichino delle tariffe progressive al livello del consumo. Un esempio è il bollo di circolazione che aumenta con il chilometraggio: se si usa un'automobile efficiente, si percorrono gli stessi chilometri e quindi si mantiene lo stesso livello di “benessere”, si spendono gli stessi soldi per la benzina, ma se ne riduce il consumo e l'inquinamento. Il bollo chilometrico ha un effetto perverso, infatti si tratta di una tassa regressiva che può aumentare le diseguaglianze perché i poveri spendono una proporzione del proprio reddito superiore ai ricchi, inoltre, come ogni carbon tax, si presta a fenomeni di carbon leakage verso i paesi che non la applicano. In sostanza le problematiche dell'efficienza energetica sono estremamente delicate e le soluzioni semplicistiche basate sulla SOLA incentivazione tecnologica, possono rivelarsi un vero e proprio boomerang.

2.3 La situazione risorse e rifiuti

i) Contributo sui rifiuti
………………………………………….
ii) Contributo sulle risorse
Anche la proposta di un’alternativa interna al sistema economico dominante, la “green economy” è messa a rischio dalla carenza di alcuni metalli.
L’avverte l'UNEP. La crescita dell’economia verde potrebbe essere messa a rischio dalla carenza di alcune materie prima e in particolare di alcuni metalli. Allora diventa essenziale dare una forte spinta al riciclo, pena carenze nell’approvvigionamento che già nel prossimo ventennio potrebbero penalizzare o addirittura arrestare la crescita di settori cruciali per l’economia low-carbon. L’avvertimento arriva da due report del gruppo di lavoro sulle risorse di Unep, presentati venerdì ("Metals stocks in society" e “Metal recycling rates") Per esempio la scarsità di alcuni metalli rari essenziali per molte industrie hi-tech e della green economy: litio, neodimio e gallio. Elementi che entrano in gioco in molti processi attorno a cui ruota l’economia “verde”: la costruzione di moduli fotovoltaici, di componenti per le turbine eoliche, di batterie per le auto elettriche, di lampade ad alta efficienza.
L’80% del totale di questi elementi in circolazione è stato estratto negli ultimi 30 anni e spesso le risorse disponibili sono concentrate in zone circoscritte. Nel caso del litio metà delle cui riserve mondiali è concentrata in Bolivia. Indispensabile potenziare il riciclo che purtroppo non si sta facendo: in media solo l’1% di questi materiali al momento viene recuperato, il restante 99% va perso. Il fabbisogno di indio, usato per la realizzazione di semiconduttori e lampade Led, ad esempio, è previsto in raddoppio entro i prossimi 10 anni, ma attualmente se ne ricicla meno dell’1%. Un altro esempio è quanto accade per il palladio: si potrebbe riciclare tra il 50 e il 90% del totale in circolazione, ma attualmente si riesce a recuperarne solo il 5-10%, questo anche perché nel mondo solo il 10% dei cellulari gettati viene smaltito in maniera corretta.
Ma grandi benefici per il clima potrebbero venire dal recupero di metalli di uso più comune come acciaio, alluminio, latta e rame. Un metallo riciclato ha infatti un’impronta in termini di energia consumata nel processo produttivo da 2 a 10 volte inferiore rispetto ad uno estratto (nel caso dell’alluminio addirittura 12).
Attualmente nel mondo per produrre 1,3 miliardi di tonnellate di acciaio all’anno si generano emissioni per 2,2 miliardi di tonnellate di CO2: una quantità che si potrebbe ridurre di molto dato che lo stesso metallo se riciclato comporta un quarto delle emissioni rispetto a quello prodotto convenzionalmente.
Ai gas serra evitati si aggiungano poi gli altri, niente affatto trascurabili, impatti ambientali dell’attività mineraria evitati e la creazione di posti di lavoro nella filiera del recupero: è chiaro dunque che la via da percorrere sia quella del riciclo. Anche perché - come si scopre sfogliando il report Metal Stocks in Society – le riserve di metallo sono sempre di più “al di sopra del suolo”, cioè non nelle miniere bensì nelle quantità che si possono ottenere appunto con il riciclo: ad esempio se nel 1932 per ogni americano c’erano 73 chilogrammi da recuperare ora ve ne sono 240, una quantità destinata ad aumentare sempre più rapidamente dato che usato in prodotti come Pc e telefonini il rame viene “buttato” in media ogni 5 anni.
Estratto da un articolo di GM - 17 maggio 2010

 

 

3) Quale politica di utilizzo dei combustibili fossili residui in un ottica di transizione energetica e di riduzione della CO2?

3.2 Misure locali da promuovere

Proposte da fare a livello locale: trasporto, consumo di carne, proposte di economia solidale (agricoltura locale e biologica, cooperative, artigianato), gestione locale del risparmio (creazione di cooperative finanziarie tipo MAG, sperimentazione di monete locali), promozione del senso di comunità (volontariato, servizio civile).

 

 

4) Quali settori produttivi privilegiare, ridimensionare, trasformare, in un'ottica di sostenibilità?

Risposta rinviata alle analisi dei temi successivi.

 

 

5) Quali ambiti di consumo dovranno subire i ridimensionamenti e le trasformazioni più marcate in un'ottica di sostenibilità?

Risposta rinviata alle analisi dei temi successivi.

 

6) Quali sfide sociali si aprono in uno scenario economico non più basato sulla crescita di produzione e consumi?

La prima sfida sociale, sul piano economico, è proprio quella anche solo di prevedere uno scenario non più basato sulla crescita della produzione e dei consumi. Infatti la crescita economica è ormai un paradigma.
La crescita economica, nella visione politico-economica corrente, permette di vivere una vita migliore (standard of life), affrancandosi dai bisogni materiali, riduce la povertà, porta con se l’innovazione in ogni campo della scienza, ad es. in quelli tecnologico e medico, promuove una distribuzione migliore e riduce i conflitti sociali.
Diventa così un paradigma, un modello di riferimento, la matrice disciplinare di una comunità scientifica. Questo delimita il campo di analisi e la prassi della ricerca stessa. Il tema di analisi diventa come può l’economia crescere nel lungo periodo e una visione critica della crescita economica non può essere fatta all’interno del paradigma.
Rispetto alle problematiche sulla sostenibilità della crescita di lungo periodo, per esempio, la scarsità delle risorse esauribili (terra, carbone, petrolio) si può argomentare che se si considerano le risorse ambientali, diventate scarse, come tutti gli altri beni economici, quando per queste via via aumenterà la loro scarsità anche il loro prezzo aumenterà e quindi saranno attuati maggiori incentivi con l'obiettivo di utilizzare risorse alternative.
Anche per quanto riguarda i vincoli ecologici (biodiversità, risorse rinnovabili, riscaldamento globale) il problema può essere superato in quanto parallelamente, riguardo ai danni ambientali, vale un ragionamento simile alla curva di Kuznets (la cosiddetta curva di Kuznets ambientale). Cioè all’inizio dello sviluppo l’attenzione all’ambiente è limitata perché ci sono cose più importanti, ma via via che il reddito aumenta l’ambiente sarà considerato un bene di lusso e sarà sempre più considerato; quindi la qualità ambientale prima peggiorerà, ma dopo che sarà raggiunto un certo livello di reddito migliorerà. C'è una complicazione di questa
dinamica e cioè ci sono studiosi più vicini all’ecologia che fanno notare che diversamente dagli altri beni economici, gli ecosistemi sono caratterizzati da irreversibilità. Esempi dal passato fanno preoccupare (Isola di Pasqua). E nel presente: a Copenaghen si è sperimentata la difficoltà di accordi internazionali sulle emissioni.

Di seguito alcune delle questioni sociali che si dovranno affrontare se si sceglie un modello di società che non prevede di seguire il paradigma della crescita economica, questioni fondamentali a cui la crescita invece dà una sua risposta concreta.
- Crescita, profitti e competitività: il problema da questo punto di vista è una vera spirale del declino perché la crescita e i profitti sono strettamente legati, meno crescita meno profitti meno investimenti e la competitività internazionale rafforza il problema. Come uscirne: aumento di investimenti pubblici, accordi internazionali, misure protezioniste, mantenere alti profitti riducendo i salari o le tasse. L’obiettivo dell’impresa può cambiare, il profitto diventa meno importante.
-  Crescita e occupazione: se il progresso tecnico aumenta del 2% annuo c’è bisogno del 2% di crescita per mantenere lo stesso livello di occupazione. In caso di stagnazione, invece, aumenta la disoccupazione. Sembra quasi che l'efficienza ed il progresso tecnologico siano in contraddizione con la de-crescita. Si potrebbe ridurre questo effetto ? Alcune possibili vie di uscita: incoraggiare la mobilità del lavoro, un massiccio intervento pubblico per mantenere alti livelli di domanda, abbassare i salari, per cercare di mantenere alti livelli di occupazione, ridurre l’orario di lavoro (può la riduzione dell’orario di lavoro ridurre la disoccupazione? come si può ottenere la riduzione dell’orario?).
- Crescita e debito: la crescita è di fondamentale importanza per ripagare i debiti contratti. Pensate al debito pubblico dopo una manovra espansiva. Per ripagare gli interessi c’è bisogno di crescere. Per il debito privato vale un ragionamento simile. Molti autori mettono in relazione l’aumento del debito privato come sostituzione del debito pubblico, per promuovere la crescita economica. Ogni persona o famiglia ha bisogno di vedere crescere i propri redditi per ripagare i debiti contratti. Questo implica a livello aggregato che c’è bisogno di crescere per continuare a ripagare i debiti.
- Crescita e servizi pubblici: la crescita permette di risolvere l’apparente dilemma tra spesa pubblica e spesa privata. Il gettito aumenta se c’è crescita e senza aumentare le imposte, e questo consente di migliorare i servizi pubblici. Questa questione è una delle più spinose anche a sinistra. Alcune possibili via d’uscita: accettare che con meno crescita ci sarà un peggioramento dei servizi pubblici, accettare che per mantenere e migliorare il livello dei servizi bisogna aumentare le tasse; aumentare l’efficienza sperando sia sufficiente, ma soprattutto cambiare radicalmente le voci di spesa (Armi, esercito, alta velocità, . . . ); ridurre il bisogno di servizi pubblici cambiando la natura della società e dell’economia (per esempio una società che si concentra maggiormente sul benessere può aver bisogno di meno spesa medica).
- Crescita, profitti e competitività: il problema da questo punto di vista è una vera spirale del declino perché la crescita e i profitti sono strettamente legati, meno crescita meno profitti meno investimenti e la competitività internazionale rafforza il problema. Come uscirne: aumento di investimenti pubblici, accordi internazionali, misure protezioniste, mantenere alti profitti riducendo i salari o le tasse. L’obiettivo dell’impresa può cambiare, il profitto diventa meno importante.

Il progetto “Ridefinire la prosperità” ci aiuta a farci delle domande

- Il crescente interesse per il benessere, può diventare un obiettivo per le economie avanzate (potenzialmente entra in conflitto con l’obiettivo della crescita).
- La crescente evidenza degli effetti negativi dello sviluppo delle attività economiche sull’ambiente.
- Il bisogno di avere maggiore precisione nel dibattito sulla crescita e la sostenibilità ambientale.

Può la crescita di lungo periodo essere sostenibile da un punto di vista ambientale?
Se sì, quali politiche sarebbero necessarie perché sia possibile?
Se non fosse possibile, come può un paese adattare la propria economia per avere uno sviluppo senza crescita economica?
Ci sono concezioni alternative di benessere rispetto a quello della prosperità individuale basata sulla crescita economica?
La risposta convenzionale per chi pensa che sia possibile una crescita sostenibile è il “Decoupling” (disaccoppiamento), cioè la crescita economica in presenza di una continua riduzione della produzione di materie prime attraverso il continuo miglioramento dell'efficienza (non così scontato, vedi risposta 2.2).
Per chi pensa che sarà possibile una gestione del sistema senza crescita economica.
Tre argomentazioni che valgono per i paesi sviluppati (Victor and Rosenbluth, 2008): la crescita economica sostenibile non è un’opzione, dati i vincoli ecologici e le risorse limitate, quindi i paesi sviluppati devono lasciare la possibilità a quelli in via di sviluppo di crescere, visto che i vantaggi della crescita in questi paesi sono evidenti; la crescita nei paesi sviluppati è diventata non economica, nel senso che toglie più benessere di quanto ne aggiunge; infine la crescita economica non è né necessaria né sufficiente per rispondere ad alcuni problemi specifici quali l’occupazione, la disuguaglianza e la protezione ambientale.

Quattro scenari di crescita bassa, nulla o negativa:
i. La scelta deliberata del governo di dare priorità ad altri obiettivi come il benessere o la sostenibilità.
ii. La scelta individuale di molte persone che dal basso danno una minore priorità alla vita materiale e una priorità maggiore al tempo libero, alla tranquillità, alla mancanza di stress, ecc.
iii. La scelta di perseguire politiche economiche che portano ai disastri ambientali o alla esaurimento delle risorse fossili. Questo scenario non significa fine del mondo: aumento dei prezzi impossibile crescita del prodotto.
iv. La scelta di politiche economiche sulla spinta della competizione internazionale con il risultato che l’economia mondiale potrebbe continuare a crescere, ma le economie occidentali perderebbero la loro importanza (gli scenari iii e iv possono andare insieme in due fasi!).