C'è ancora spazio per la crescita? (Gruppo Altravialucca Lucca)

1) Quali sono gli elementi di crisi, sul piano delle risorse, della contaminazione ambientale, delle disparità sociali, che mettono in crisi la crescita?

Scrive Latouche nel suo ultimo libro (anticipato in alcune pagine su Carta n. 6) che la branca di studi confluiti nella denominazione di “Decrescita”:

“ .. si distingue dalle analisi e dalle posizioni delle altre critiche dell'economia globalizzata (movimenti altermondisti o dell'economia solidale) per il fatto che non individua il cuore del problema nel neo o ultraliberismo (…), ma nella logica stessa di crescita, percepita come essenza dell'economico. In questo senso il progetto della decrescita è radicale. Non si tratta di sostituire una buona economia a una cattiva economia, una buona crescita o un buon sviluppo a una cattiva crescita o a un cattivo sviluppo (…). Si tratta piuttosto di uscire senza mezzi termini dall'economia. (Carta pag. 62)

Perchè la crescita NON PUO' PIU' essere.

La crescita economica è basata su un grande consumo di materiali, di risorse non rinnovabili come il petrolio, ma anche altri minerali che sono alla base della nostra società tecnologica: rame, litio ecc... Ormai da parecchi anni sappiamo che non sono infiniti, anzi, che ci stiamo avvicinando, o ci siamo già, al momento in cui diviene molto più difficile e dispendioso estrarli e poterli utilizzare. Del resto anche una risorsa rinnovabile e potenzialmente infinita, come l'acqua, siamo riusciti a renderla scarsa e sempre più fonte d'insicurezza, sia per la sua mancanza che per la sua abbondanza. La questione dell'acqua come parte dell'ecosistema è stata a tal punto ignorata che l'ambiente è già molto danneggiato dall'uso eccessivo che ne abbiamo fatto: quando vengono violati i limiti dell'uso sostenibile l'integrità degli ecosistemi è compromessa e, senza esserne consapevoli fino in fondo, si va a intaccare la vita stessa.

La contaminazione ambientale prodotta/provocata dalla crescita economica è pervasiva e generalizzata. Aria, terra, acqua e anche lo spazio sono invasi dalle tracce del nostro modo di vivere. L'eccessiva produzione di gas (la co2 prima di tutti), responsabili dell'effetto serra che provoca il cambiamento climatico. Il grave problema dei rifiuti, che inquinano e avvelenano in tutte le forme in cui tentiamo di disfarcene. L'inquinamento delle acque (fiumi, laghi ecc..) con scarichi industriali, liquami, rifiuti. La terra intrisa di prodotti chimici: fertilizzanti, pesticidi. Deprivata degli elementi nutritivi dall'agricoltura industriale. La cementificazione, gli OGM, l'estinzione di piante ed animali... Le innovazioni tecnologiche, naturalmente, possono intervenire su questo scenario, ritardando, anche in maniera considerevole, le manifestazioni più evidenti del deterioramento del nostro pianeta. Le soluzioni tecniche, però, potranno curare gli effetti me non le cause e renderanno sempre meno diretto, meno consapevole, il rapporto tra l'uomo e la terra su cui vive.

Perchè la crescita NON DEVE PIU' essere.

Perchè le disparità sociali che produce non sono un effetto collaterale temporaneo o che si può eliminare con un po' di impegno.

Le conseguenze dei danni provocati dal nostro sviluppo si realizzano in modo virulento sui paesi e sulle popolazioni del sud del mondo, già duramente provate dal pesante colonialismo (si può dargli anche altri nomi, meno scioccanti, ma questo è) e sfruttamento che, attraverso multinazionali, WTO, BM...(e anche “l'aiuto”?) continuano a subire da parte dell'occidente. La rapina delle risorse continua, nuove produzioni s'impongono: biocarburanti, olio di palma, mano d'opera ...Tutto quello che ci serve per continuare la nostra corsa... Il cambiamento climatico stesso peserà molto più su di loro anche per la mancanza di risorse economiche e strutturali tali da poter prevenire e attutire i disastri. Mentre in occidente continuiamo a produrre “esternalizzando” la nostra “impronta ecologica” cioè trasferendo all'estero le produzioni più costose dal punto di vista ambientale così da non doverle conteggiare nel nostro paese e trasferendo le conseguenze ambientali, economiche e sociali dove minori o assenti sono le regole e le protezioni. Anche da noi i segnali di crisi non mancano: sul piano del lavoro che è sempre di meno, la finanziarizzazione che è sempre di più, la crisi dell'opulenza, la crisi della crescita, non può che portare scontento e vuoto di valori ...Ma la cosa che più ci preoccupa e che vediamo aumentare, specie qui in Italia, è una tendenza all'autoritarismo politico, con conseguente aumento di disparità sociale tra governanti e governati. L'aumento delle scarsità rende necessaria una maggiore imposizione e uso della forza, per esempio: trasformazione delle discariche in “zone d'interesse militare”, volontà di esautorare le regioni dalla decisione di accettare o meno un impianto nucleare nel proprio territorio, ...Scarsità di territorio libero, in questi casi, ormai tutto molto popolato e quindi difficile da gestire dall'”alto”, senza tener conto di chi nei luoghi ci abita. 

 

2) Le fonti rinnovabili potranno fornirci la stessa energia che ci hanno fornito i combustibili fossili? L'efficienza potrà bastare a sopperire la riduzione energetica e la scarsità di risorse prossime venture? Anche se avessimo energia in abbondanza gli altri aspetti (risorse e rifiuti) consentono l'espansione ad oltranza di produzione e consumi?

Pensiamo di no, il petrolio è una fonte energetica facile da utilizzare e la produzione di energia molto elevata rispetto ai costi. Così non è per le fonti rinnovabili, almeno per ora, e soprattutto in Italia dove siamo molto indietro in questi settori. Comunque, pur non essendo né facile né scontato, ci si dovrebbe lavorare con impegno se siamo una società lungimirante e saggia. Tutti, a cominciare da noi cittadini, con il risparmio di energia e la promozione e sperimentazione in tutti i modi, di alternative quotidiane e casalinghe; gli esperti con lo studio e la sperimentazione in questi settori; la politica con una programmazione e con incentivi a indicare con nettezza la direzione. Sarebbe necessario avere, come società, una visione dall'alto, di lungo periodo, un controllo politico dei processi. Una visione che comprenda le generazioni future e la vita umana e del pianeta che abitiamo, nel suo complesso.

Efficienza è una parola che non ci piace, fa pensare a modi spersonalizzati e spersonalizzanti, dove contano i risultati veloci e non concordati e toglie parola e rilevanza al contesto. Capisco che è assai di moda perchè è adatta al tecnicismo e alle tendenze autoritarie. (Ci sono ambiti che non si possono democratizzare?) Parola migliore potrebbe essere Efficacia che richiama/rimanda al risultato nel suo complesso/contesto più che al modo in sé. Come si può trasformare un sistema fondato sullo spreco in uno guidato dal principio dell'efficienza? Pensare all'efficienza come soluzione è realista? Lo spreco di energia è grande, la facilità e l'abbondanza ci hanno indotto alla noncuranza. Se ho capito bene in tutto il ciclo di vita dei prodotti l'uso inefficiente è enorme, circa il 94% di tutti i materiali estratti per produrre un bene durevole diventa rifiuto ancora prima che il prodotto sia finito (calore di scarto dagli impianti elettrici, acqua di scarico o evaporata...). Qualcuno ha detto che è più facile essere cinici che utopici..

Anche se si potesse continuare ad avere così tanta energia come ora, le risorse comunque sono in esaurimento e i rifiuti ci stanno già sommergendo anche se non ce ne accorgiamo. Anche se riuscissimo a risolvere questi problemi attraverso artifici tecnici, rimarrebbe comunque l'assurdità di un sistema che vede la terra soltanto come una fonte di risorse da sfruttare e come un contenitore per i rifiuti, dimenticando che è sulla terra e con la terra che l'uomo vive. Davvero, date le circostanze, non possiamo fare altro che provare a cambiare sistema, organizzazione e direzione del nostro modo di vivere.

 

3) Quale politica di utilizzo dei combustibili fossili residui in un ottica di transizione energetica e di riduzione della CO2?

Quello che si dovrebbe provare a realizzare è una riduzione graduale dell'utilizzo delle risorse fossili, introducendo e integrando le energie alternative.

Si dovrebbe poi invertire la tendenza per cui la tecnologia ha progressivamente sostituito il lavoro umano, la necessità di utilizzare meno risorse renderà necessario nuovamente più energia umana.

Dovranno essere ridisegnati i cicli produttivi delle merci, abbandonando un percorso lineare per cui i materiali fluiscono dall'estrazione alla discarica, per copiare dagli ecosistemi un percorso circolare, chiuso, dove vengono rimessi in ciclo quanti più materiali possibili minimizzando o annullando la produzione di rifiuti.

I beni da produrre quindi dovranno essere fabbricati in modo da minimizzare il contenuto di risorse, utilizzare materiali biodegradabili e prevederne una lunga durata.

Naturalmente si dovrà eliminare il prima possibile tutto ciò che non è indispensabile: imballaggi, trasporti, traffico ecc.

Si dovrebbe incentivare gli interessi delle industrie non più all'aumento della produzione, ma alla gestione dei beni, attraverso servizi di riparazione, aggiornamento ecc.

Crediamo che i saperi, le conoscenze, le capacità insomma le intelligenze, in questi settori siano già notevoli e che decidendo di incentivarle si potrebbero ottenere dei risultati.

 

4) Quali settori produttivi privilegiare, ridimensionare, trasformare, in un'ottica di sostenibilità?

E però, come può prodursi un tale cambiamento di strada quando quella parte del nostro mondo che ha in mano le redini del potere e della ricchezza continua a considerare il guadagnare come l'unico fine del proprio fare?

Tra i settori produttivi da privilegiare ci sarà sicuramente quello alimentare, che dovrà essere molto ridimensionato e riportato a un livello più legato al territorio, anche la grande distribuzione dovrà essere molto limitata; l'agricoltura che non potrà essere che biologica e locale, attenta alla cura della biodiversità e alla coltivazione di specie autoctone capaci di crescere in equilibrio con l'ambiente. Dovrebbero assumere importanza le attività artigianali e le piccole produzioni; la cura e la manutenzione dei beni comuni: acqua, verde, istruzione e cura dei bambini..; la manutenzione e ristrutturazione degli edifici: impianti idraulici per il riuso delle acque, coibentazione e impianti elettrici e di riscaldamento ad energia solare, i gabinetti adatti al riciclo ecc. ecc..

Da ridimensionare sono praticamente quasi tutte se non tutte le attività produttive, in quanto in tutte si è raggiunto un tale esasperato produttivismo che va ben al di là dei nostri bisogni. Basta pensare ai consumi di cellulari e tecnologie domestiche in genere..; l'abbigliamento, l'estetica, il divertimento e l'intrattenimento ( pensate ai programmi in tv! Che orrore.) La pubblicità poi...oltretutto è sempre più invasiva e brutta e così priva di senso dell'umorismo da far pena. L'elenco potrebbe continuare..

Anche da trasformare c'è tanto basti dire armi armamenti eserciti.

Insomma si dovrebbe cambiare tutto perché sono cambiate le necessità e le finalità delle nostre società, in un contesto che è stato trascurato e sfruttato troppo. Certo è così lenta la presa di coscienza, e la sproporzione tra quello che si dovrebbe fare e quello che si può fare è grande. Ma la famosa intelligenza umana non consiste nel sapersi adattare a situazioni in mutamento e avere la capacità di risolvere i problemi che si presentano, tenendo conto della complessità e dei nessi?

 

5) Quali ambiti di consumo dovranno subire i ridimensionamenti e le trasformazioni più marcate in un'ottica di sostenibilità?

Tutti gli ambiti di consumo dovranno subire ridimensionamenti perchè in tutti, anche in quelli che riguardano i nostri bisogni fondamentali, abbiamo perso il senso del limite, per esempio con il cibo, mangiamo troppo e male e il nostro corpo non ha più la sapienza di dirci cosa gli è necessario. Tutti gli ambiti dovranno subire trasformazioni, percorso che, per essere volontario e consapevole, forse non può che avere inizio da una riappropriazione di tempo, tempo per riacquisire una dimensione meno scandita dall'esterno, per ritrovare un distacco e da lì poter pensare. Siamo così incastrati in un meccanismo che fermarsi a pensare ci sembra scandaloso e si è continuamente proiettati fuori in un attivismo frenetico. Se non c'è un tempo per riflettere e cercare e scegliere, non ci possono essere cambiamenti, tantomeno in un ambito come il consumo, dove gli oggetti, ogni tipo di prodotto, non sono solo strumenti che usiamo per vivere ma hanno un significato simbolico cioè conta quello che significano non quello che fanno. Identità e emozioni passano a noi attraverso gli oggetti mentre l'utilità del prodotto è data per scontata. Per questo la pubblicità è quel grande mercato che è.

Tranne poi trovarsi di fronte ai banchi del supermercato vuoti.

Anche se forse è già tardi, dobbiamo provare a fare un salto di qualità e provare a costruirlo quel progetto più radicale.

 

6) Quali sfide sociali si aprono in uno scenario economico non più basato sulla crescita di produzione e consumi?

Visti i problemi che ci aspettano se continuiamo sulla strada dell'”ideologia” economica e della “fede” nella crescita, sembrerebbe ovvio cercare con urgenza dei rimedi e attuare al più presto un cambio di rotta. Invece non è così, e i più, molti anche tra di noi, facciamo fatica a credere che sia inevitabile precipitare in scenari terribili di penuria e di catastrofi (che, come abbiamo detto, in moltissimi vivono già).

Ho letto che I. Illich sosteneva che per riconoscere l'ovvio bisogna imparare a fare domande e la prima deve essere: Da quando è così?

Come fare un puzzle all'incontrario, se si stacca un tassellino alla volta e lo analizziamo, può fare meno paura. Si possono ridimensionare l'ubriacatura di certezze e false sicurezze che abbiamo in testa.

Non è sempre stato così, e soprattutto non è da tantissimo tempo che siamo costituiti e impregnati di individualismo consumista e imprigionati in una logica di bisogni infiniti, almeno non in questo modo pervasivo e integrale.

C'è anche un'altra domanda che ci può aiutare a trovare una disposizione d'animo di speranza e coraggio, questa: Dovunque è così?

La risposta è no, in alcuni luoghi più che in altri si è già iniziata una nuova via fatta di: creatività, partecipazione, unità nella diversità, orizzontalità, territorializzazione delle relazioni sociali e proposta politica. Vie innovative culminate nelle nuove Carte Costituzionali di Bolivia e Equador, dove vengono riconosciute forme di governo comunitarie centrate sulla partecipazione, dove sono garantite forme di economia non riconducibili al mercato, locali e solidali. I diritti fondamentali si ampliano a comprendere: il diritto all'acqua, all'abitare, all'energia, alla sicurezza sociale. Si introduce il concetto di “diritti della natura” e l'acqua è definita un “ecosistema vivo”.

I diritti della natura...pensate quante cose si potrebbero fare anche nei nostri territori...

Le sfide che ci aspettano sono enormi temo, e il lavoro da fare tantissimo, a cominciare dal provare a ripristinare il rispetto di noi stessi, degli altri e della natura di cui siamo parte. Recuperare il senso del limite per tornare sobri e coi piedi per terra. Recuperare/riattivare il buon senso della condivisione.

Allora, girare su sé stessi può essere anche una grande liberazione. Per tornare indietro?! Macchè, una volta girati i tacchi si riparte sempre in avanti! Solo che non si segue più una strada sbagliata. (Baker)

 

Materiali consultati:

Siti internet:
www.cnms.it
www.ambientefuturo.org 
www.cdca.it (centro di documentazione sui conflitti ambientali)

Libri:
W. Sachs, Ambiente e giustizia sociale. Editori Riuniti (domande 2, 3, 5)
Una vita più semplice, biografia e parole di A. Langer. Terredimezzo editore. (dom. 6)
La vita dopo il petrolio. Terredimezzo editore. (dom. 4)
G. De Marzo, Buen vivir. Ediesse. (dom. 6)
C. Baker, Ama la terra. Emi (dom. 2, 6)