C'è ancora spazio per la crescita? (Gruppo Mantova)

1) Quali sono gli elementi di crisi, sul piano delle risorse, della contaminazione ambientale, delle disparità sociali, che mettono in crisi la crescita?

Prevedere il momento in cui ci si troverà di fronte ad un punto di non ritorno, seguito da un tracollo sociale non è cosa semplice. Ancora più difficile è riconoscere situazioni critiche a cui ci troviamo di fronte nella vita di tutti i giorni.

I fattori che ci impediscono questa visione sono diversi. Ci sono le nostre responsabilità, a cui per convenienza cerchiamo di non dare importanza; c’è l’insieme dei mezzi di informazione a cui interessa maggiormente rassicurare le persone, facendo credere che l’attuale sistema basato su una crescita illimitata sia possibile, innocuo per l’ambiente e la migliore soluzione. I sistemi di informazioni comunicano che questo sistema permette “a molti” (in realtà pochi, se consideriamo l’intera umanità) di soddisfare a pieno i propri bisogni e desideri attraverso beni materiali. In realtà soddisfiamo, bisogni fittizi “seminati” nella nostra mente attraverso pubblicità e stili di vita basati su modelli voluti da pochi (es. grandi corporations). E’ sempre più evidente (e sono in aumento gli studi su questo), che non vi è relazione tra felicità e possesso di beni oltre un certo limite.

Alcuni punti di crisi sono ben riconoscibili, grazie ai diversi fattori problematici che contemporaneamente ci stanno colpendo, e che nemmeno i paesi più avanzati sembrano capaci di gestire.

Eccone alcuni1:

Nonostante non vi sia un consenso unanime, ormai diversi analisti sostengono che il picco del petrolio sia imminente; l'Agenzia internazionale per l'energia (Aie), ha presentato, nel suo World energy outlook 2008 (Weo2008) un quadro della situazione e le proiezioni fino al 2030. Secondo questo documento il picco del petrolio estratto dai giacimenti in attività è già stato raggiunto. Dall'inizio degli anni Ottanta consumiamo più petrolio di quanto ne troviamo.

Questo rappresenta un dato preoccupante, in quanto ciò che è stato possibile costruire e produrre fino ad oggi è dipeso in gran parte da questo combustibile fossile, e trovarsi in una situazione che ne preveda un utilizzo molto razionalizzato potrebbe essere un fattore destabilizzante per le attuali produzioni.

Questa situazione incide indirettamente anche in tema di sicurezza alimentare (basti pensare che il numero di persone affamate o malnutrite stimate per il 2025 si attestano attorno a 1,2 miliardi), dovuto alla destinazione di una sempre maggior parte di coltivazioni cerealicole alla produzione di carburante per autotrazione o scopi energetici.

Non solo il petrolio sembra aver quasi raggiunto il picco di estrazione; diversi minerali che rappresentano una grande importanza sul piano dello sviluppo tecnologico sono stati sfruttati per oltre la metà delle riserve disponibili; tra queste anche il litio e il rame.

Ormai si discute al presente anche delle conseguenze dovute al riscaldamento della Terra, iniziamo già a vederne gli effetti; alcuni studiosi sostengono che l’innalzamento di un solo grado celsius rispetto alla temperatura media sarebbe la causa di una riduzione del 10% nei raccolti di frumento, riso, grano.

L’aumento della temperatura renderà sempre più difficile nutrire la popolazione in crescita del pianeta.

Come conseguenza della crescita globale delle temperature non vi è solo lo scioglimento dei ghiacciai, l’aumento del livello del mare ma anche la formazione di tempeste sempre più violente, che porterà ad un numero sempre più crescente di rifugiati ambientali;

Un’altra considerazione importante è quella che riguarda l’emergenza idrica; il pianeta sta andando verso un deficit idrico in rapida crescita; questo è anche conseguenza di una crescente domanda negli ultimi 50 anni, che ha portato il prelievo idrico a superare la capacità di ricarica degli acquiferi. Qualche esempio a proposito: il lago Ciad in Africa si è ritirato del 96% in 40 anni, il Colorado (più grande fiume nel sud-est degli Stati Uniti) ormai raramente arriva fino al mare, il fiume Giallo (il più ampio nella Cina settentrionale) dal 1985 in molte occasioni non è riuscito a giungere alla foce.

Ormai in diversi continenti si presenta il problema delle risorse idriche, e sempre per le stesse ragioni: un eccessivo prelievo idrico dai fiumi, laghi, e sovra sfruttamento della falde acquifere.

In questo contesto l’agricoltura è il settore che ne soffre maggiormente, a causa della grande quantità di acqua necessaria per la produzione alimentare (es.: per produrre 1 t di acciaio dal valore di 560 dollari servono 14 t di acqua; per produrre 1 t di grano del valore di 2000 dollari ne servono 1000 t). Da ricordare che un terzo di tutte le terre fertili sta perdendo lo strato superficiale, con una conseguente riduzione della produttività dei terreni, la desertificazione è in continuo aumento; a questo si aggiunge il problema della riduzione delle riserve ittiche e la scomparsa di piante e animali. La riduzione delle terre coltivabili mina la sopravvivenza dei paesi poveri che pagano quindi più pesantemente le conseguenze di una situazione di cui i Paesi più sviluppati sono in larga parte responsabili.

Un altro danno che deriva da questa crescita senza freni, che è il settore dei rifiuti. Su questo piano troviamo sempre più problemi gestionali con relativi effetti negativi sulla salute umana. I beni si trasformano in rifiuti in tempi molto rapidi, con conseguenza che l’attuale società non è in grado né di assorbirli, né di gestirli in modo efficiente. Tutto questo deriva da un modello di sviluppo basato sull’usa e getta, che se nella seconda metà del novecento era visto come un incentivo al lavoro e promozione di crescita economica, oggi rappresenta un problema che non siamo più in grado di gestire.

Una soluzione adottata in questi anni, su cui ci sono forti perplessità è l’incenerimento dei rifiuti. Diversi medici, e pubblicazioni scientifiche hanno preso una posizione critica verso questo tipo di gestione dei rifiuti, che genera effetti nocivi sulla salute della popolazione residente in prossimità degli impianti, e con la distribuzione di prodotti alimentari “contaminati”: la popolazione esposta può essere molto più numerosa di quanto non possa sembrare.

A causa del verificarsi contemporaneo di tutte queste situazioni di criticità è lecito pensare ad un intensificarsi di competizione per accaparrarsi le risorse primarie fra le popolazioni povere e quelle ricche, fra i paesi industrializzati e quelli in via di sviluppo; la riduzione delle risorse potrebbe far crollare gli standard di vita delle classi più agiate, per non parlare delle classi già in stato di quasi povertà; tutto ciò potrebbe causare tensioni sociali ingestibili. Il pericolo assoluto, che attraverso l’informazione e gli atteggiamenti individuali/ comunitari è da evitare è che il sovrapporsi di tutte queste problematiche su tutti i livelli, comporti il tracollo delle nazioni.

Quanto afferma il rapporto annuale redatto dal Worldwatch Institute “State of the World 2010”, è la necessità di una transizione da una cultura consumista ad una cultura della sostenibilità.

La grande quantità di dati ormai validati dalla scienza, dimostrano che i modelli di sviluppo attuali non sono più sostenibili. E’ necessaria una trasformazione in grado di superare il consumismo, serve un nuovo contesto culturale incentrato sulla sostenibilità, che sia orientato verso scelte individuali e sociali con il minor impatto ambientale globale, anzi in grado di rimettere in sesto i sistemi ecologici della Terra.

 

 

2) Le fonti rinnovabili potranno fornirci la stessa energia che ci hanno fornito i combustibili fossili? L'efficienza potrà bastare a sopperire la riduzione energetica e la scarsità di risorse prossime venture? Anche se avessimo energia in abbondanza gli altri aspetti (risorse e rifiuti) consentono l'espansione ad oltranza di produzione e consumi?

Attualmente le fonti rinnovabili non possono fornire la stessa energia fornita dai combustibili fossili (su questo punto resta anche aperto il grosso interrogativo del nucleare); a rallentare il processo di transizione energetica ci sono poi i costi della conversione degli impianti. La questione non va riportata sul piano di una maggior produzione, ma su quello di un minor consumo. La terra è una risorsa finita anche per quel che riguarda la sua capacità di accettare rifiuti in superficie, nel sottosuolo e fondali marini, nell’atmosfera. Il principio di entropia di G.-Reoegen dovrebbe davvero essere accettato in economia.

 

 

3) Quale politica di utilizzo dei combustibili fossili residui in un ottica di transizione energetica e di riduzione della CO2?

Attualmente la transizione energetica si sta muovendo a partire dalla dimensione privata (abitazioni private in particolare). Il passaggio successivo dovrebbe essere un maggior utilizzo di fonti energetiche rinnovabili da parte del settore agricolo (dove fotovoltaico e biomassa garantiscono efficienze e rese migliori), industriale in genere (ciascuno potrebbe diventare piccolo produttore di energia) e terziario. Questa politica in Germania farà abbassare i costi di produzione rendendo le imprese di quel paese più competitive. L’incentivazione statale dovrebbe giocare un ruolo primario in questa fase di sviluppo.

Alcune difficoltà di una transizione energetica nel settore industriale potrebbero essere: le incertezze legislative (il rischio di produrre quantità di energia tali da dover entrare sul libero mercato); grossi investimenti per produrre energie rinnovabili (meno sostenibili in un momento di crisi economica). Se, una politica di conversione energetica prendesse piede, oltre che nelle abitazioni private, nei settori primario e terziario, le emissioni di CO2 dell’industria potrebbero rendersi tollerabili per più tempo.

 

 

4) Quali settori produttivi privilegiare, ridimensionare, trasformare, in un'ottica di sostenibilità?

Utilizzando le categorie classiche di analisi dell’economia industriale cioè settore primario, secondario, terziario e rispettivamente allevamento/agricoltura, manifatturiero e servizi ci si può render conto della vastità degli ambiti di intervento possibili. Ciascuna categoria è ricca di una “proposta merceologica” e immateriale che necessita di maggior sostenibilità, solidarietà, sobrietà nelle filiere produttive. Le esternalità negative (intese come costi sociali non compresi nei prezzi) padroneggiano nella maggior parte degli ambiti.

L’individuazione di criteri guida secondo cui privilegiare, ridimensionare, trasformare, è complessa. Elencare gli ambiti di intervento, in base alla “categorie di beni” è apparentemente più semplice (esempi: eliminare la produzione di armi, convertire l’industria dell’auto in qualcosa d’altro – es. produzione di treni, co-generatri.., incentivare la produzione di energie rinnovabili, privilegiare la produzione del biologico, disincentivare la presenza di pubblicità etc, etc…), ma cosa fare per prima cosa? E per ultima?

Forse è da privilegiare il settore agricolo sopra tutto, in quanto ci permette di conciliare decrescita ed occupazione. La “ristrutturazione” del settore agricolo permetterebbe di risolvere il grande problema dell’alimentazione e della sicurezza alimentare e creare un effetto domino del benessere. Svolgerebbe da volano per soddisfare un insieme di necessità umane: dal bisogno di alimentarsi tutti i giorni in modo sano, al bisogno di impiegare manodopera.

La questione di una giusta retribuzione della manodopera, su piccola scala potrebbe trovare una soluzione con lo scambio di prodotti in cambio di lavoro.

 

 

5) Quali ambiti di consumo dovranno subire i ridimensionamenti e le trasformazioni più marcate in un'ottica di sostenibilità?

Gli ambiti di consumo che dovranno subire le trasformazioni più marcate possono essere da un lato e quasi paradossalmente con quanto esposto sopra l’alimentazione (conversione al biologico, privilegio di una filiera corta, gruppi d’acquisto in simbiosi col territorio) dall’altro la progressiva eliminazione dell’ “usa e getta” (inteso come tutto ciò che viene prodotto per essere gettato, dagli imballaggi ai vestiti che non mettiamo mai) anche attraverso forme di bricolage, cioè di ri-creazione attraverso il già esistente (soprattutto mobili e tessili, ma anche contenitori etc…).

 

 

6) Quali sfide sociali si aprono in uno scenario economico non più basato sulla crescita di produzione e consumi?

Rivalutazione del tempo:

in una società che non è più preoccupata di produrre sempre di più e guadagnare, il tempo quotidiano dovrà trovare una nuova identità. Tempo non più solo come pausa o rilassamento dopo 10 ore di lavoro ma come spazio in cui vivere, riflettere, crescere i propri figli, intessere rapporti sociali veri o, perché no, anche non fare nulla.

“Quando parlate con un uomo socialmente tecnico, egli sogna solo tempi in cui le macchine faranno tutto il lavoro e l’uomo non lavorerà più - cioè respira in superficie -, lavorerà soltanto qualche minuto al giorno per spingere pulsanti di macchinari o alzare e abbassare commutatori. “e cosa farà per il resto del tempo?” gli chiediamo noi. Ed egli ci risponde: “si coltiverà”; questo pover’uomo ha dimenticato, non sa, non può sapere nella sua posizione antinaturale, che la vera cultura dell’uomo è precisamente il suo lavoro, ma un lavoro che sia la sua vita…2

Lavorare per la vita:

In quest’ordine di idee il lavoro non sarà più un tempo in cui l’uomo non vive e fa. Il lavoro sarà sufficiente e necessario ma soprattutto sarà in funzione dell’uomo concreto e non del denaro del mercato.

“Se il prezzo del frumento sale, guadagni un po’ più di un decimetro di carta. E’ poco; d’accordo. Ma se invece dei tuoi seicento chili ne avessi mille chili, o sessantamila chili…Non è già più questione di fare il rapporto tra i seicento chili di frumento e il pane per un uomo in un anno. I seicentomila chili di frumento possono essere unicamente rapportati al denaro. Sulla terra dove facevi crescere tutto il cibo per la tua famiglia, strappa questo cibo. Strappa i mandorli che ti davano le mandorle; strappa il piccolo frutteto che ti dava la frutta: vuoi fare la frutta o fare il frumento? Se è il frumento, strappa via tutto il resto: patate, verdure, tutto; specializzati, fabbricati la carta da giocare e falla più grande possibile per vincere il più possibile…non è più questione di cibo, è questione di gioco. Con quel che vincerai al gioco ti comprerai da mangiare e ti resterà ancora un’enorme proprietà di carta. Se vinci…Voi non siete più contadini, siete giocatori…Ecco perché non potete più garantire da soli la vita vostra e quella della vostra famiglia. Avete seicentomila chili di frumento, ma avete perduto e il vostro raccolto è dentro i silos…

Il bello:

Una sfida della nuova società potrebbe essere infatti la ricerca del bello ossia che la produzione non sia solo utile allo scopo ma che sia bella da vedere, un piacere per chi la utilizza. C’era un tempo in cui persino i vasi, gli utensili da lavoro, le campagne stesse erano creati seguendo il principio del bello. Quindi invece di spendere energie e lavoro per produrre in grandi quantità, si potrà produrre con qualità.

La lentezza:

L’uomo potrà fare ciò che deve, lavorare, utilizzando il tempo che gli serve per farlo bene. La lentezza dei movimenti, contrapposta alla frenesia attuale che non lascia spazio al pensiero, lo aiuteranno a mettere se stesso in ciò che fa, e a portare ciò che fa in se stesso.

 

 

NOTE:

1 Fonti utilizzate per lo sviluppo della risposta: rapporto annuale Worldwatch Institute “State of the World 2010”, bibliografia suggerita dal “Centro Nuovo Modello di Sviluppo”, libro: “Piano 3.0 B”, autore: Lester Brown)

 

2 Jean Jono“lettera ai contadini sulla povertà e la pace”