C'è ancora spazio per la crescita? (Gruppo Vicenza)

Premessa

Prima di chiederci se c’è ancora spazio per la crescita riteniamo occorra fare un passo indietro e riflettere su:

Ripartire dai fallimenti

Qualsiasi proposta di nuovi modelli di sviluppo per l’umanità non può prescindere dalla riflessione che tutti gli esperimenti similari finora prodotti dall’alternativa (più o meno roboante) sono stati un fallimento senza nessuna attenuante: stiamo parlando di temi come la pace, i diritti dei poveri, l’ecologia, la stessa decrescita felice. L’indifferenza dei più verso questi temi è stata una costante.

Cause dell’indifferenza

Per la prima volta nella storia dell’uomo si inizia a parlare della necessità di porre dei limiti.

Una delle possibili cause è la seguente: finora la maggior parte delle considerazioni a supporto della necessità di cambiare rotta sono state presentate come “limitazioni esterne”. Purtroppo, la persona non si cura delle possibili catastrofi future perché è incapace di valutazioni nel lungo periodo; prova inoltre un forte senso di rifiuto verso qualsiasi proposta “alternativa”, che percepisce come una limitazione nella ricerca di un futuro mondo migliore e una minaccia all’attuale benessere (ormai ridotto a benessere economico).

Il potere siamo tutti noi

Qui ci siamo basati sulle riflessioni di Paolo Barnard.

In tutte le dinamiche di potere noi gente comune giochiamo un ruolo centrale. Sappiamo che è il nostro consenso a lungo termine che permette ogni politica e ogni scelta economica, e sappiamo nei dettagli come noi, tutti noi, finanziamo questo Impero e le sue guerre ogni minuto della nostra vita con i nostri consumi o risparmi.

Poiché è impensabile che i potenti (della politica o della finanza) si convertano, tutti i nostri progetti devono essere strettamente legati ai cambiamenti possibili per un numero significativo di persone.

Due passi necessari

Da una parte risulta indispensabile delineare un progetto alternativo al sistema attuale, così da avere un orizzonte ben definito verso cui tendere, un progetto DESIDERABILE. Dall’altra è parimenti importante riflettere sulle modalità e sulle possibilità di attuazione di un tale progetto, affinché possa concretizzarsi nella realtà. I due aspetti devono rimanere fortemente legati.

Informazione e formazione

Per quanto riguarda l’informazione, il maggiore problema non è la scarsità di informazioni disponibili, quanto piuttosto la loro estrema contraddittorietà. Nell’ottica di massimizzare l’efficacia, concordiamo sul fatto di concentrare l’attenzione su poche informazioni fondamentali e difficilmente confutabili (per es. sullo stato generale del pianeta in tutti i suoi aspetti le informazioni sono tanto chiare quanto allarmanti).

L’altro aspetto, maggiormente trascurato, è quello della formazione umana. Solo persone mature, sensibili e coraggiose possono essere aperte al cambiamento. Persone umanamente “spente” dal sistema consumistico non sono in grado né di percepire alcuna informazione, né di intraprendere alcun cambio di rotta.

La formazione umana deve tener conto del frantumarsi dei legami e dell’aumento della solitudine.

La mancanza di strategie valide dal punto di vista formativo rischia di rendere vano in partenza ogni altro sforzo.

Abbiamo ripreso gli scritti di vari autori, tra cui Fromm.

Il XX secolo può essere visto come il massimo esperimento sociale mai tentato allo scopo di rispondere a due domande:

  • la soddisfazione dell’impulso al piacere mediante l’appagamento di ogni desiderio o bisogno soggettivo è in grado di dare senso alla vita e di generare felicità?

  • il perseguimento dell’egoismo individuale può condurre alla pace e all’armonia, nonché ad un aumento generalizzato di benessere?

La risposta ad entrambi i quesiti è nettamente negativa: il nostro ordinamento sociale fa di noi altrettanti malati (fisicamente e psicologicamente), a tutti i livelli: genera guerre strategiche e degrada i rapporti civili, genera sempre maggiore insicurezza (crisi economiche, disoccupazione, ecc...).

Il dilagare delle tendenze egoistiche ed edonistiche nell’ultimo cinquantennio è assimilabile ad una irrefrenabile metastasi piuttosto che ad una crescita umana.

Il desiderio sfrenato di possedere è tra le principali cause del malessere sociale:

  • colpisce ogni essere umano, sia ricco sfondato che povero in canna;

  • entra in ogni mente e in ogni casa con tutti i possibili mezzi, si fa largo nel nostro pensiero e va ad intaccare i legami di solidarietà che hanno contraddistinto a più livelli la storia umana;

  • è diventato sinonimo di libertà, sostituendosi al concetto stesso di libertà. Mentre la libertà è la massima espressione dell’essere umano, l’accumulo di ciò che è superfluo riduce la libertà rendendoci dipendenti (perciò la sobrietà non è privazione ma liberazione).

Qui sorge la domanda: è opportuno limitarlo, renderlo accettabile socialmente?

È necessario agire sulla brama di possesso, che attualmente è a fondamento della vita dei singoli individui, per realizzare una società migliore?

La limitazione della brama di possesso dei singoli individui è solo una questione religiosa o generale?

Nuova prospettiva: dove sta la gioia?

Se un cambiamento ci sarà, sarà perché desiderabile socialmente. Non c’è altra via se non la desiderabilità.

Il peggioramento generalizzato della situazione da una parte aumenta la desiderabilità del cambiamento; dall’altra parte, il conseguente aumento delle paure individuali e collettive rischia di generare una ulteriore deriva.

In questo senso è necessario che un numero sempre più grande di persone si renda conto che:

  • l’avere e la brama di possesso generano frustrazioni, inquietudine e insicurezza;

  • maggiore condivisione e solidarietà generano distensione e soddisfazione profonda;

  • rapporti distesi e fiducia reciproca generano vera sicurezza;

  • soddisfazione profonda e serenità generano salute fisica e psicologica;

  • riduzione nello stile di vita porta ad un miglioramento generale della vita stessa (meno frenesia, ritorno all’essenziale, vita autentica, minore sovraccarico ambientale, ecc...).

La stessa sopravvivenza fisica del genere umano dipende quindi da una trasformazione radicale del cuore umano: un aspetto, questo, che non dovrebbe essere trascurato.

 

1) Quali sono gli elementi di crisi, sul piano delle risorse, della contaminazione ambientale, delle disparità sociali, che mettono in crisi la crescita?

Gli elementi di crisi sono molteplici, percepiti in maniera molto diversa dalle persone e vissuti in maniera altrettanto diversa.

Di certo lo scollamento sociale ha favorito le risposte personali ed ha emarginato le risposte collettive che hanno caratterizzato la nostra società dagli anni sessanta fino al duemila. Per cui, cogliere gli elementi di crisi principali è complesso e forse inutile in quanto ognuno ne percepisce qualcuno magari ignorandone molti altri.

Interessi comuni potrebbero essere la natura, passata da madre comune a fornitrice di materie prime e ricettacolo di ogni nostro scarto.

Anche la crescente sofferenza di tanti uomini (e in generale di tutta la biosfera) potrebbe essere un elemento di profonda crisi in quanto si sta percependo che il motto “Va lavorare” ben difficilmente si può applicare al mondo intero, visto che non vale più neppure nel mitico Nord Est.

In ogni caso ci sembra che la valutazione della nostra impronta ecologica o, meglio ancora, la stima della quantità di risorse che avremmo realmente a disposizione tenendo conto di una suddivisione equa tra tutti gli esseri viventi e di quelli che verranno dopo di noi è un passo chiarificatore e basilare.

 

 

2) Le fonti rinnovabili potranno fornirci la stessa energia che ci hanno fornito i combustibili fossili? L'efficienza potrà bastare a sopperire la riduzione energetica e la scarsità di risorse prossime venture? Anche se avessimo energia in abbondanza gli altri aspetti (risorse e rifiuti) consentono l'espansione ad oltranza di produzione e consumi?

Anche se la questione è difficile da digerire, come recita Gandhi la natura dà a tutti, ma non alla smodata brama di possesso di tutti.

Le energie rinnovabili non possono garantirci gli stessi consumi.

L’efficienza e le risposte tecnologiche da sole non bastano a risolvere il problema della scarsità futura.

Parlare degli altri aspetti, qualora l’energia a disposizione fosse infinita, qui a Vicenza assume una valenza particolare: città che produce procapite 1.5 Kg di rifiuti al dì senza considerare i rifiuti industriali, con la discarica in via di esaurimento, con una disponibilità economica che ancora permette di far viaggiare in Italia o altrove i propri rifiuti: tutto questo la dice lunga sulle difficoltà a gestire i consumi attuali.

 

 

3) Quale politica di utilizzo dei combustibili fossili residui in un ottica di transizione energetica e di riduzione della CO2?

Non basteranno le nostre lampadine a basso consumo a salvare il mondo, ma è un buon inizio.

La tecnologia deve andare avanti verso la sostenibilità, ma la sola ingegnerizzazione del problema non può essere la soluzione. La via principale è la riduzione drastica dei consumi.

Sul come gestire il tesoretto residuo di materie prime, combustibili compresi, non è facile indicare una strada condivisa: come criterio, l’era dei combustibili fossili e della chimica organica è un tesoro da garantire anche alle generazioni future, non certo da sprecare fabbricando borsette di plastica per andare a far la spesa. Il loro utilizzo ha cambiato il corso della storia, rendersene conto e iniziare a parlarne, non solo come carenza di benzina, ma come carenza di tutto il collegato alla produzione della chimica organica che trova nei combustibili fossili la materia prima da cui sintetizzare quasi tutte le molecole che ora utilizziamo in tantissimi aspetti della vita.

Quindi un uso parsimonioso che privilegi produzioni di eccellenza.

 

 

4) Quali settori produttivi privilegiare, ridimensionare, trasformare, in un'ottica di sostenibilità?

Disincentivare tutti gli sprechi con tecniche mirate quali, per esempio: sovratassazione, tariffe che aumentano all’aumento dei consumi, ecc...

Favorire la progettazione di tutti i beni in un’ottica di riciclabilità a basso consumo energetico e a mobilità ridotta.

Privilegiare i mezzi di trasporto pubblici.

Favorire risposte collettive penalizzando la soluzione individuale.

 

 

5) Quali ambiti di consumo dovranno subire i ridimensionamenti e le trasformazioni più marcate in un'ottica di sostenibilità?

Il superfluo, tutto ciò che è sopra ai bisogni vitali.

La mobilità deve essere rivista e ridimensionata, sia per le persone che per le cose.

 

 

6) Quali sfide sociali si aprono in uno scenario economico non più basato sulla crescita di produzione e consumi?

La sfida fondamentale è quella di un nuovo benessere non più fondato sull’avere, ma un benessere di condivisione che sollecita la discussione sul modo di distribuire il lavoro, (salariato, non remunerato, ridistribuito a tutti in considerazione del calo della necessità di lavoratori salariati, sia per problemi legati alla crisi, sia per l’automazione di molti parti del lavoro).

Non puntare sulla crescita significa ridiscutere alla base tutto il sistema economico che fa girare il mondo.