C'è ancora spazio per la crescita? (Gruppo Milano Città)

1) Quali sono gli elementi di crisi, sul piano delle risorse, della contaminazione ambientale, delle disparità sociali, che mettono in crisi la crescita?

E' ormai evidente che la sfida dei prossimi anni è quella di far fronte alla carenza delle risorse energetiche. Se dell'esaurimento delle riserve di petrolio si parla ormai da tempo, e i più recenti studi ci dicono che ormai stiamo letteralmente raschiando il fondo del barile, è più interessante notare quello che sta succedendo sul fronte dei minerali.

E' emblematico, in questo senso, l'esempio del litio: si parla sempre tanto di veicoli elettrici ma si dimentica spesso che le batterie per alimentarli necessitano di una materia prima già in via di esaurimento.

Questo avviene ogni volta che si pensa di rinunciare ai combustibili fossili facendo ricorso alle risorse rinnovabili. Le risorse possono anche essere rinnovabili, ma la possibilità di immagazzinarle e sfruttarle non è affatto scontata e, soprattutto, rischia di essere tutt'altro che “sostenibile”: l’impatto ambientale in questi casi può rendere nullo l’effetto positivo dell’uso di fonti alternative.

Anche la crisi idrica è ormai una fatto acquisito; non solo nei luoghi aridi per eccellenza ma anche in aree umide e fertili. In gran parte del mondo, la domanda d’acqua in forte crescita sta superando l’offerta. Gran parte delle falde sono sovrasfruttate e in Giordania e in Libia, ma anche in India e in Cina, da alcuni anni si estrae acqua “fossile”, non più rinnovabile.

Un altro elemento di crisi è la contaminazione ambientale. Il suolo cementificato viene sottratto alle altre possibilità: è reso sterile. Le funzioni e utilizzazioni legate alla naturalità quali l’alimentazione degli uomini e degli animali che vi abitano, il poter respirare aria salubre tramite la vegetazione, raccogliere e filtrare l’acqua piovana e ricostituire le riserve di un liquido decisivo anch’esso per la vita dell’uomo, consentire la biodiversità delle specie e la rigenerazione dello spirito dell’uomo vengono impedite: si manifesta un potenziale conflitto.

Per millenni questo conflitto non è emerso: il territorio reso artificiale (una crosta di cemento e asfalto) era una porzione molto ridotta del totale. Improvvisamente, il consumo di suolo per usi urbani è cresciuto a dismisura. Il confronto tra le carte tecniche negli ultimi sessant’anni ci dice che, grosso modo, in Italia quella crosta è aumentata da uno a dieci (da Consumo di suolo in Europa. Che fare? Eddytoriale 135 - 05 dicembre 2009).

Noi occidentali siamo il 20 per cento della popolazione mondiale e consumiamo circa l’80 per cento delle risorse naturali. In Italia avremmo a disposizione poco meno di due ettari a testa di terra
produttiva: ma per i nostri consumi e i nostri rifiuti ne usiamo più di quattro, saccheggiando le risorse del sud del mondo fin dai tempi del colonialismo. La terra-mare produttivi per essere umano sulla terra sono ormai ridotti a 1,8 ettari a testa, mentre gli americani consumano e producono rifiuti per l’equivalente di 9,6 ettari a testa, noi italiani circa 4,2 , un pakistano o un centrafricano circa mezzo. Usiamo il loro mare per svuotarlo del pesce (lo stock ittico negli ultimi decenni si è più o meno dimezzato), e la loro terra per coltivare gli eucalipti per la nostra carta, la soia per i nostri vitelli, la palma da olio per la nostra Nutella e le nostre creme cosmetiche, il cotone per i nostri vestiti. Buchiamo il loro mare e la nostra terra per prenderci il petrolio per la nostra benzina e i minerali per i nostri computer. Produciamo miliardi di tonnellate di rifiuti e gli mandiamo i nostri scarti tossici. Compriamo i vestiti, le scarpe, gli apparecchi elettronici che loro costruiscono lavorando anche 20 ore al giorno, spesso pagati meno di un dollaro al giorno, subendo abusi di ogni genere. Con l’agricoltura e l’allevamento intensivo stiamo inquinando l’acqua e desertificando il suolo: oggi ogni essere umano ha a disposizione meno di un terzo della terra produttiva e dell’acqua dolce
rispetto a un secolo fa. Ormai stiamo intaccando il capitale: ogni anno l’umanità consuma il 130 per cento delle risorse rinnovabili che la terra riesce a riprodurre in un anno. Intanto gli affamati aumentano: si calcola che in seguito all’aumento dei prezzi degli alimenti del 2007-2008 (dovuto soprattutto alla diffusione degli agrocarburanti per “nutrire” le nostre macchine e alle speculazioni sui cereali) siano cresciuti da poco più di 800 milioni a quasi un miliardo. Cresce la miseria e crescono le disuguaglianze. Si stima che agli inizi dell’Ottocento il 20% più ricco della popolazione mondiale guadagnasse circa tre volte più del 20% più povero, mentre oggi la differenza è di 160 volte (dati del “Rapporto sullo sviluppo umano” dell’UNDP). Secondo la Banca Mondiale, oltre due miliardi e mezzo di persone sopravvivono con meno di due dollari al giorno.

E’ sempre più evidente che il nostro “modello di sviluppo sociale ed economico” non è sostenibile ovvero è destinato a distruggere le basi della vita sul nostro pianeta.

Il nodo è dunque inevitabilmente la crescita: quello deve essere il punto di partenza. Ripensare a fondo bisogni, consumi e stili di vita per garantire a tutti una vita dignitosa.

Detto che fotovoltaico, eolico e geotermico rappresentano sicuramente la risposta più “pulita” alla domanda di energia, è fondamentale sottolineare che non si può continuare ad affannarsi nella ricerca di risorse che ci permettano di mantenere il nostro attuale tasso di crescita ma è piuttosto indispensabile adeguare il nostro stile di vita a quel poco che ormai ci offre il pianeta.

La parola d’ordine non può che essere “ben vivere per tutti”.

 

2) Le fonti rinnovabili potranno fornirci la stessa energia che ci hanno fornito i combustibili fossili? L'efficienza potrà bastare a sopperire la riduzione energetica e la scarsità di risorse prossime venture? Anche se avessimo energia in abbondanza gli altri aspetti (risorse e rifiuti) consentono l'espansione ad oltranza di produzione e consumi?

Crediamo che, anche ragionando sul medio-lungo periodo, i combustibili fossili siano di fatto insostituibili: troppo poco costosi da estrarre/produrre, facili da trasportare/utilizzare, altamente efficienti dal punto di vista energetico (cfr. ad esempio la tabella sull'EROEI inviata da Michela - nello stesso articolo l'autore afferma che "il petrolio è stato un evento forse irripetibile nella storia umana).

La sfida interessante è che, trattandosi di risorse non rinnovabili, un bel giorno si esauriranno e quindi, per forza, dovrà esserci un'alternativa. E l'alternativa è data o dalle fonti rinnovabili o da nuove forme di energia nucleare (gli impianti più recenti, di terza o quarta generazione, utilizzano comunque materiali scarsi e in via di esaurimento...). In ogni caso, con le tecnologie disponibili al giorno d'oggi (e in un ragionevole arco temporale), dubito che le fonti rinnovabili siano in grado di fornire la stessa energia dei combustibili fossili.

Le generazioni future forse dovranno abituarsi ad "avere meno energia disponibile", e questo nel mondo occidentale significa imporre radicali cambiamenti negli stili di vita (dalla progressiva sostituzione edilizia con case ad alta efficienza energetica, alla riduzione dell'uso dell'automobile, a una minore illuminazione notturna delle città e delle strade, ecc.). Mantenere l'attuale livello di consumo di energia non sarà semplicemente possibile.

Anche il continuo e costante miglioramento dell'efficienza energetica in diversi ambiti (case, elettrodomestici, automobili...) di fatto non ha portato negli ultimi 10-15 anni a una diminuzione del fabbisogno energetico (quanto meno, non in Italia); l'eventuale "risparmio" è stato annullato da una crescita dei consumi o delle prestazioni (case con finestre più grandi, elettrodomestici più potenti, automobili di cilindrata superiore al passato - si pensi ai suv "euro 4", formalmente ecologici, liberi di circolare ovunque ma che consumano quanto un vecchio furgone scassato!). Quindi, ad oggi, neanche l'efficienza ha portato ad una riduzione energetica.

Crediamo che il discorso sia ancora più complesso nei paesi meno sviluppati: laddove le priorità sono acqua, cibo, sanità, istruzione, ecc. difficilmente verranno investite risorse per la produzione/l'utilizzo di energia pulita... anche perché i combustibili fossili costano meno e rendono di più.

Superare il limite della disponibilità di energia significa rendere possibile una crescita ulteriore di produzioni e consumi? Temo di sì. Fortunatamente, dubito che in futuro avranno energia in abbondanza.

A nostro avviso, anche se venisse superato lo scoglio della scarsità di risorse e dello smaltimento dei rifiuti,  l'espansione ad oltranza di produzione e consumi non avrebbe comunque senso poiché, già ora, la crisi economica in corso è in gran parte originata da un surplus di produzione di beni, eccessiva rispetto alla capacità dell'umanità di comperare oggetti di cui non ha bisogno, di conseguenza il ritmo di crescita sta già subendo una limitazione dovuta proprio all'eccesso di produzione.

Per contro, se una singola nazione decidesse autonomamente di limitare alcune produzioni andrebbe incontro ad una carestia dalle proporzioni inimmaginabili; sarebbe, piuttosto, auspicabile la creazione di un organismo sovranazionale mondiale che disponesse che le produzioni di beni comuni non strategici, non debbano superare distanze chilometriche eccessive e stabilisse una sorta di tassa ambientale per quei beni che dal luogo di produzione al luogo di destinazione superino ad esempio i 1.000 Km, in modo da rendere non conveniente, ad esempio per l'Italia di comprare viti prodotte in Cina che si possono facilmente fabbricare a pochi Km di distanza senza danneggiare l'ambiente con emissioni nocive dovute a trasporti inutili e senza creare problemi alla mano d'opera locale.       

Sia per ridurre gli sprechi e le dispersioni nella trasmissione dell'energia, sia per democratizzarne la gestione, è fondamentale, oltre a una revisione tecnica delle infrastrutture, decentrare il più

possibile la produzione diffondendo mini centrali eoliche, fotovoltaiche, idroelettriche ed estendendo il ricorso al geotermico, e naturalmente sviluppando il più possibile la microcogenerazione (che sfrutta il calore generato producendo energia), gestite da comunità, cooperative, piccole industrie ecc.

E' comunque essenziale rendersi conto che né le nuove tecnologie, né una produzione-distribuzione più efficiente risolveranno i problemi attuali: è indispensabile una RIDUZIONE DRASTICA del consumo di energia, così come delle risorse naturali in genere, e ovviamente della produzione di rifiuti.

 

3) Quale politica di utilizzo dei combustibili fossili residui in un ottica di transizione energetica e di riduzione della CO2?

A nostro avviso il problema va affrontato per gradi e senza farci prendere dall'affanno pur tenendo presente che è urgente prendere iniziative.

I combustibili fossili sappiamo tutti che si esauriranno nel giro di 30 o 40 anni, inoltre i giacimenti da sfruttare sono spesso sempre più in profondità o si trovano in Paesi che possono essere caratterizzati da improvvisi blocchi delle forniture per cause diverse (colpi di stato e/o guerre).

Gli scisti bituminosi, dicono gli esperti, sono anche più pericolosi da sfruttare in termini di contaminazione ambientale perché favoriscono l'effetto serra.

E' perciò indispensabile, a livello politico:

  • agevolare la ricerca di forme di utilizzo delle fonti rinnovabili, più efficaci rispetto a quelle di cui disponiamo ora (progresso tecnologico).

  • In attesa di poter disporre di queste nuove tecnologie agevolare comunque l'utilizzo delle tecnologie già disponibili perché il processo di transizione non può in ogni caso aspettare. La decisione presa sulla progettazione e costruzione di centrali nucleari non deve rappresentare un motivo di attesa di queste ultime perché i tempi sono valutabili in termini di decenni e non possiamo permetterci di attendere per la transizione alle fonti naturali. Non possiamo attendere anche perché viviamo in un tempo di crisi e la costruzione di impianti solari, eolici, di sfruttamento dell'energia delle onde marine, o di altre energie naturali, rappresenta una concreta possibilità di offrire occupazione di mano d'opera a diversi livelli all'interno dello Stato Italiano e ciò produce benessere oltre a ridurre le emissioni nocive. Nemmeno il prezzo del petrolio, ridottosi negli ultimi mesi, può rappresentare un motivo di attesa perché sappiamo benissimo che la ripresa della produzione mondiale, che può ripartire in qualsiasi momento, insieme a qualche eventuale problema interno a qualcuno dei Paesi grandi produttori può far schizzare il prezzo in modi imprevedibili e repentini.

  • Favorire la riduzione dei consumi di elettricità facendo rimodernare la rete di distribuzione, favorendo la progettazione delle cosiddette reti intelligenti e la conversione dell'illuminazione pubblica con lampade a led i cui consumi sono notevolmente inferiori.

Naturalmente parte di queste competenze sarà attribuito alle regioni ed ai comuni che, a loro volta e con i mezzi di cui dispongono, favoriranno gli investimenti, e soprattutto, l'utilizzo di energia prodotta da fonti rinnovabili, sia per le proprie infrastrutture e impianti, sia agevolando gli investimenti dei privati cittadini che vivono sul loro territorio (case ed impianti privati).

A livello locale, infine, il privato cittadino dovrebbe indirizzare i propri consumi energetici, in modo da privilegiare le società che offrono energia prodotta da fonti rinnovabili in modo pulito (cosiddetta energia verde), orientando con la propria scelta le società fornitrici a potenziare questo settore produttivo.

 

 

4) Quali settori produttivi privilegiare, ridimensionare, trasformare, in un'ottica di sostenibilità?

Dovrebbero essere privilegiati i settori produttivi che rispondono a bisogni essenziali (sotto controllo pubblico partecipato, in forme da individuare, oppure privato sociale o privato strettamente regolamentato usando la leva fiscale): acqua, cibo, abitazione,

vestiario base, educazione e istruzione permanente, assistenza sanitaria, trasporti, comunicazioni, cultura.

Tra i settori da privilegiare:

  • produzione di energia rinnovabile, agricoltura e allevamento biologico,
  • ricerca sanitaria (in particolare prevenzione ambientale, vaccini, farmaci essenziali) sotto controllo pubblico, trasporti pubblici e privati a emissioni basse o nulle, bioedilizia pubblica , mobili ed elettrodomestici a risparmio energetico e possibilmente da dare a noleggio-uso condiviso, abiti di produzione locale e fatti con fibre sostenibili,
  • libri e giornali di produzione indipendente e fatti con carta riciclata,
  • sistemi di riduzione dell’inquinamento, ricerca sulla riduzione dei rifiuti ecc.

Lo stile d’uso di beni e servizi andrebbe trasformato (da individuale a collettivo): per esempio elettrodomestici di condominio, car sharing ecc, con forme di noleggio e ritiro a fine uso per incoraggiare le aziende a produrre beni durevoli, riparabili, riciclabili.

Vanno poi sicuramente incentivati i servizi alla persona e i servizi pubblici in generale (anche con la formula del pagamento tasse in natura): per esempio educazione permanente (anche su autoproduzione, servizi pubblici “fiscali” e partecipazione/cittadinanza attiva), sistemi di scambio non monetari e con monete locali, assistenza sociale e sanitaria (soprattutto preventiva), trasporti pubblici...

 

5) Quali ambiti di consumo dovranno subire i ridimensionamenti e le trasformazioni più marcate in un'ottica di sostenibilità?

Per affrontare il problema del cambiamento dei consumi necessario a garantire un futuro “sostenibile” abbiamo ragionato in termini di ambito privato, riferito alla quotidianità del singolo, e ambito pubblico, ovvero ciò che riguarda la comunità e le istituzioni.

Schematizzando, per quanto riguarda le trasformazioni ecco ciò che ognuno di noi può fare: autoprodurre prodotti igienici per la casa e per il corpo (senza angosciarsi troppo per la sterilizzazione degli ambienti e degli oggetti, inculcata come fondamentale dalle pubblicità dei prodotti di pulizia); cucinare da sé cibi quali pane, torte, biscotti…; coltivare se possibile un orto per il proprio fabbisogno; riparare le cose anziché buttarle, o portarle a riparare da chi ne ha le competenze invece di acquistarne di nuove perché “tanto costa lo stesso” (generando così nuovi rifiuti e non riflettendo sui costi ambientali di smaltimento); per il consumo di energia rivolgersi a gestori che offrono energia “pulita”; preferire la bici o una salutare camminata per brevi spostamenti.

Una riflessione a parte merita l’adozione di un’alimentazione adeguata, che offre vantaggi sia per la salute personale che per quella del pianeta. Meglio quindi preferire prodotti locali, stagionali, a basso consumo idrico (sarebbero necessarie a questo proposito etichettature trasparenti ed esaustive ed il recupero delle varietà locali, sicuramente le più adatte in quel determinato luogo), puntando su un’alimentazione di tipo vegetariano e prestando attenzione alle combinazioni alimentari.

Sul fronte del ridimensionamento rientrano un po’ tutti i consumi in generale: acquistare meno articoli d’abbigliamento e accessori, valutare bene le quantità di cibo da comprare in modo da ridurre gli scarti, diminuire il consumo di elettricità evitando elettrodomestici superflui e troppo potenti, valutare se è il caso di assumere farmaci per ogni minimo inconveniente, usare con parsimonia e riutilizzare la carta e l’acqua. A questo proposito bisogna notare come in Italia non si sia ancora affermata la pratica del riuso delle acque di scarico, forse a causa della normativa vigente che impone limiti alla carica batterica 1000 volte più bassi di quelli previsti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (Decreto Ministro dell’Ambiente 185/2003).

Per quanto riguarda l’ambito pubblico l’approvvigionamento energetico deve essere rivisto sia in termini di ridimensionamento che di trasformazione verso forme di energia cosiddetta pulita.

D’ora in poi occorrerà fare bene i conti sulle riserve minerali prima di lanciarsi nella produzione insostenibile di qualche novità tecnologica per il consumo di massa (es. il litio per le auto elettriche).

Vi è poi l’urgenza di innovare profondamente le pratiche di gestione dell’acqua: dalla pianificazione di bacino (che deve puntare decisamente a politiche che trattengano l’acqua e ne favoriscano l’infiltrazione, al contrario di quanto fatto finora!), alla progettazione delle città in modo da favorire l’accumulo delle piogge e l’uso multiplo dell’acqua (già esistono soluzioni che permettono di non usare acqua potabile per scaricare il wc), ai sistemi di depurazione e riuso dei liquami. Il letame, sia animale che umano, può essere utilizzato nei campi coltivati. Oggi le acque di scarico vanno ad inquinare fiumi e mari disperdendo il fosforo ivi contenuto. Una volta che il fosforo finisce sul fondo dell’oceano diventa difficile recuperarlo. Non possiamo fare a meno del fosforo, ma possiamo evitare di usarlo per nutrire raccolti destinati a ingrassare il bestiame nelle stalle: ridurre il consumo di carne è un modo per risparmiare fosforo.

Infine di pertinenza dei comuni e delle regioni dovrebbe essere il potenziamento dei mezzi pubblici a discapito del mezzo privato, spesso utilizzato da una sola persona alla volta, e la diffusione delle piste ciclabili sul territorio.

 

6) Quali sfide sociali si aprono in uno scenario economico non più basato sulla crescita di produzione e consumi?

Al di là dei dati e della sintesi dell’articolo, dallo stesso ci sembra di poter evincere un’unica considerazione già fatta dalle precedenti risposte. Ossia il pericolo di continuare a ragionare in termini di crescita.

Se pensiamo di sostituire esattamente una fonte di energia con un’altra (seppure meno invasiva), le conseguenze negative si manifesteranno sull’ambiente, prima o poi, sotto una forma a cui magari non pensiamo. E questo avverrebbe se, nella sostituzione dell’energia derivante dai combustibili fossili con quella derivante dalle fonti rinnovabili, dimenticassimo di considerare la quantità di territorio che verrebbe deturpata o, comunque, utilizzata dai nuovi impianti.

Senza troppi giri si arriva direttamente al concetto di decrescita, ossia ben-vivere per tutti

 Rileggendo l’appello di Gesualdi, ci sembra di capire che il problema principale che ci poniamo in questa sede sia legato al come attuare un percorso di transizione.

Il problema che, invece, crediamo sia posto dall’ultima domanda sia legato al come vivere la transizione. Perché la domanda fa riferimento, specificamente,  a sfide sociali e non economiche o ambientali.

 I cambiamenti da affrontare (nuove abitudini , ma soprattutto nuovi – o, meglio, antichi - modi di concepire le risorse) ci portano ad una riflessione immediata: siamo pronti, da un punto di vista “umano” e spirituale” a vivere una vita non basata sulla materialità e sulle certezze?

Crediamo che la sfida sociale più grande sia quella di una educazione spirituale dell’individuo che conduce a re-imparare a vivere in comunità.

Finché vivremo le nostre vite nello stretto ambito delle relazioni familiari, nelle quali, di tanto in tanto, si affaccia qualche “nuovo personaggio” (amico, conoscente, collega, gasista…) non ci sarà spazio per una vera e propria vita in comunità. 

Quindi crediamo che la vera sfida sociale (determinata dai cambiamenti economici; dal diverso modo di intendere le risorse naturali e, quindi, dal diverso approccio verso l’ambiente in cui viviamo; da un nuovo sistema economico privo della centralità della moneta) sia quella spirituale o umana, a sua volta spinta da un nuovo stile di vita.

Sul come potremo affrontare questa transizione e sul come essa si realizzerà non abbiamo la più pallida idea. Forse la stiamo già vivendo gradualmente, visto che ci stiamo abituando, ad esempio, all’idea stessa della limitatezza delle risorse , per non parlare della precarietà generata dalla situazione lavorativa attuale, che ci rende tutto molto più incerto di quanto si potesse pensare fino a poco fa.