PARTIRE DAI BISOGNI…MA QUALI ?

PARTIRE DAI BISOGNI…MA QUALI ?

(di Daniele Silvestri)

Una critica

Leggendo la traccia di discussione che si trova sul sito del Centro Nuovo Modello di Sviluppo sono stato colpito da due cose : la prima è come venga data per scontata la divisione fra bisogni fondamentali e bisogni « optional » e la seconda come, contrariamente ai due temi precedenti e a quello successivo, non venga dato nessun suggerimento di lettura per approfondire il tema e non vorrei che la seconda cosa fosse stata fatta, magari inconsapevolmente, perché la prima è data come assolutamente evidente e scontata. Al contrario, secondo me, è proprio questa suddivisione dicotomica che io trovo poco convincente ancorché molto seducente per la sua semplicità e chiarezza, soprattutto quando si vuol portare avanti una proposta di riforma radicale come è il caso di L’altra via.

Veniamo dunque al problema della classificazione dei bisogni, o meglio della dicotomizzazione di essi. Nella voce Bisogni del Dizionario di Sociologia di Luciano Gallino (che non è certo la punta estrema del neoliberismo bushista) verso la fine della trattazione si legge:

Il dibattito sociologico sui bisogni, sino alla recente critica del consumismo, ha ruotato intorno a una serie di dicotomie che contrappongono i bisogni primari ai bisogni secondari, i bisogni essenziali ai bisogni inessenziali, i bisogni inevitabili ai bisogni evitabili, i bisogni reali ai bisogni fittizi; oppure, su un piano un po’ diverso, i bisogni non riconosciuti ai bisogni riconosciuti, i bisogni non coscienti ai bisogni coscienti. Così disposte, la corrispondenza tra le diverse dicotomie è pressoché perfetta: sono sempre i bisogni essenziali e reali a essere definiti non riconosciuti e non coscienti, mentre i bisogni riconosciuti e coscienti sono di norma definiti fittizi, evitabili e inessenziali. All’impiego di tali dicotomie nell’analisi sociologica si deve obiettare che (…) nessun termine delle dicotomie in questione è traducibile in indicatori empirici. Detto altrimenti, è impossibile stabilire quali sono i segni osservabili del comportamento di uno o più soggetti, in presenza dei quali sia corretto inferire che un certo suo bisogno è reale o fittizio, essenziale o inessenziale. La definizione stessa nega al soggetto di il diritto di pronunciarsi in merito, giacché i bisogni reali ed essenziali sono collocati di norma tra i bisogni non riconosciuti (dal soggetto); i segni occorrenti per decidere tra i due termini non possono essere forniti dal soggetto, p. es. mediante un’intervista. Ma una volta tolta la parola al soggetto, la stipulazione delle regole di corrispondenza tra segni e concetto (di bisogno reale e non, ecc.) viene lasciata o alle preferenze, se non all’arbitrio, dell’osservatore oopure a un’inesistente teoria generale dei bisogni. Il primo caso è di gran lunga il più comune – ciò che spiega l’inconsistenza delle poche ricerche sui bisogni finora condotte. Inoltre, dato che il soggetto non è capace di riconoscere i propri bisogni, chi si incarica di decidere in sua vece quali bisogni esso ‘in realtà’ riconoscerebbe se ne avesse (ma non ne ha) coscienza, è allora l’intellettuale, il moralista, il ricercatore, il politico, il critico della cultura, eventualmente il partito guida o l’avanguardia rivoluzionaria.” (Luciano Gallino, Dizionario di sociologia, , UTET, Torino 2004, p.74-75)

In estrema sintesi, secondo Gallino, qualunque suddivisione fra bisogni fondamentali e “optional” è scientificamente infondata e ideologica, il che può anche andar bene l’importante è esserne coscienti ed essere coscienti che a chi ci contesta che il tal bisogno è per lui/lei fondamentale non possiamo obiettare niente altro che un differente sistema di valori che dà, per l’appunto, valore differente a cose differenti. Ma un sistema di valori è risultato di una scelta e non salta fuori da sé in maniera evidente al primo sguardo dato alla realtà, soprattutto se questa realtà è minimamente complessa come quella in cui viviamo noi. Si dirà che alcuni bisogni sono senz’altro essenziali: acqua, cibo, vestiario, riparo dalle intemperie, le competenze culturali di base che permettono un’integrazione sociale dignitosa. Ovviamente senza queste cose non si vive ma che dire di un prigioniero che ha tutte queste cose e pure si suicida perché la libertà o l’onore sono per lui più importanti, o la persona innamorata e abbandonata che non vuol più vivere perché la persona che ama vale più di tutto il resto? O senza andare a questi estremi, che dire di tutte le persone che nella nostra società, hanno tutto quanto è fondamentale eppure sono ugualmente infelici.

Sembrerebbe a questo punto che io voglia dire che ogni classificazione dei bisogni vale quanto qualunque altra e che non è possibile tirare un qualunque tipo di riga che permetta il discernimento necessario a portare avanti una proposta politica concreta come quella che Gesualdi fa nel suo L’altra via. Non è così e dopo aver criticato questa suddivisione un po’ manichea, provo a riportare qualche altra proposta che mi sembra maggiormente articolata e con cui mi sono confrontato nelle mie riflessioni.

Due teorie interessanti

Le classificazioni che mi hanno colpito sono soprattutto due: quella degli studiosi inglesi Len Doyal e Ian Gough(1) e dell’economista cileno Manfred Max-Neef(2). Questi studiosi vengono dagli studi sullo sviluppo sostenibile (ohibò!) ma credo che, al di là di questo marchio di infamia, le loro teorie meritano di essere esaminate con attenzione. Ci sono altre teorizzazioni sui bisogni umani (la più famosa è quella dello psicologo statunitense Abraham Maslow) che sono nate nell’ambito degli studi di psicologia sulla motivazione e che sono molto usate soprattutto nell’organizzazione aziendale e nel marketing (ari-ohibò!) ma credo che siano meno utili nell’ambito di riflessione in cui ci troviamo.

Provo ora a riassumere sinteticamente le due teorie

1.Doyal-Gough

Si parte dal postulato che l’obiettivo della vita di ogni persona è quello di partecipare il più pienamente possibile alla forma di esistenza, comunque la si voglia definire, in cui la nascita l’ha posta e questo obiettivo richiede due condizioni: salute fisica e autonomia (che essi distinguono fra autonomia di azione e autonomia critica, la prima quando si è al livello di agire autonomamente all’interno di una forma di vita data e la seconda quando si può mettere in discussione la forma di vita in cui ci si trova a vivere). Questi sono i bisogni fondamentali di ogni essere umano. Evidentemente in questa forma essi sono molto generici e non aiutano molto e quindi i due studiosi inglesi hanno compiuto un ulteriore passo di specificazione individuando quelle situazioni in mancanza delle quali i due bisogni fondamentali non trovano una risposta sufficiente. Queste situazioni, che loro hanno denominato bisogni intermedi, sono nella loro classificazione 11: sufficiente cibo e acqua, alloggio che dà una protezione adeguata contro le intemperie, un ambiente lavorativo non rischioso, un ambiente naturale non rischioso, cure sanitarie appropriate, relazioni primarie significative, sicurezza fisica personale, sicurezza economica, educazione di base, sicurezza durante l’età infantile,sufficiente salute riproduttiva. Le prime nove si applicano a tutte le persone, la decima ai bambini e l’undicesima alle donne.

A questi bisogni intermedi gli autori aggiungono delle precondizioni strutturali che permettono di passare, per così dire dalla teoria alla pratica: 3 precondizioni nella procedura di scelta e cioè, identificazione razionale delle risposte ai bisogni mediante la conoscenza specialistica codificata, identificazione razionale delle risposte ai bisogni mediante utilizzo della conoscenza sperimentale dei destinatari delle risposte stesse, democraticità delle decisioni; 4 precondizioni materiali che sono produzione, equa distribuzione, equa soddisfazione dei bisogni, possibilità di riproduzione delle risposte nel tempo.

Come si vede la teoria è molto articolata e complessa. Una cosa si può comunque dire fin da subito: sia al livello dei due bisogni fondamentali che a quello degli undici bisogni intermedi non c’è una gerarchia. Se uno qualunque dei bisogni identificati al livello intermedio non trova risposta, immediatamente le ripercussioni sono quelle di un grave danno a uno o entrambi dei bisogni di base.

2.Manfred Max-Neef

La teoria di Max-Neef è più elaborata al livello della griglia dei bisogni che è data dall’incrocio fra quattro dimensioni dell’esistenza umana (essere, avere, fare, interagire con gli altri) e 9 dimensioni di valore (sussistenza, protezione, affetti, comprensione intellettuale, partecipazione, tempo libero, creatività, identità, libertà).

Anche in questo caso i bisogni non sono gerarchizzati; dice l’autore:
I bisogni umani fondamentali devono essere compresi come un sistema la cui dinamica non obbedisce a delle linearità gerarchiche. Questo vuol dire che, da un lato, nessun bisogno è di per sé più importante di un altro e, dall’altro lato, che non c’è nessun ordine fissato di precedenza fra i bisogni. (…) Ci sono comunque dei limiti a questa generalizzazione. Ci sono delle soglie pre-sistemiche che devono essere riconosciute, al di sotto delle quali la sensazione di deprivazione è così forte che l’urgenza di soddisfare un dato bisogno può paralizzare o far passare in secondo piano ogni altro impulso o alternativa.

Un'altra caratteristica di questa teoria è il lavoro che viene fatto non solo sui bisogni ma sulle risposte ai bisogni (termine inglese, utilizzato anche da Doyal e Gough, è satisfier). Queste risposte sono forme di essere, avere, fare, interagire che vanno incontro ai 9 valori sopra elencati: a ognuna di queste risposte possono (ma ovviamente anche no) essere collegati in modo dinamico dei beni economici che possono variare in dipendenza dalle culture e dalle risorse disponibili. Fra le risposte ai bisogni viene anche compiuta una classificazione di tipo qualitativo: risposte distruttive (impediscono di rispondere ad altri bisogni, sono di solito legate al valore della protezione e vengono di solito imposte in modo autoritario), pseudo-risposte (generano un falso senso di soddisfazione di un bisogno e vengono di solito proposte attraverso qualche forma di propaganda), risposte inibitorie (derivano dall’eccesso di risposta a uno specifico bisogno e però impediscono una risposta ad altri, si basano su mentalità radicate molto profondamente negli individui), risposte singolari (rispondono a un singolo bisogno e sono più o meno indifferenti verso gli altri, tendono a essere risposte in qualche misura istituzionalizzate dallo Stato, dalle associazioni, dal settore privato), risposte sinergiche (sono risposte che, anche se direttamente intese a un bisogno, stimolano la ricerca di risposte anche ad altri). I primi quattro tipi di risposta vengono definiti esogeni perché provengono dall’esterno rispetto a chi ne deve usufruire, il quinto tipo viene definito endogeno perché viene elaborato dalla base dei destinatari anche se questo processo di elaborazione può avvenire dietro uno stimolo che viene dall’esterno della comunità di elaborazione delle risposte.

 

Un tentativo di riflessione e di valutazione

Una caratteristica comune a entrambe queste teorie è che di fatto non classificano in modo gerarchico i bisogni adottando invece un approccio che non è lineare ma sistemico e questo approccio mi sembra molto importante in quanto i passati tentativi di organizzare in modo abbastanza forte l’economia e la società (penso ai paesi del socialismo reale) e, volenti e nolenti, la proposta de L’altra via è quella di un’organizzazione forte della società e dell’economia siano stati fondati su una gerarchizzazione dei bisogni (bisogni fondamentali legati alla sussistenza e alla sicurezza assicurati per tutti, ma a quale prezzo per la soddisfazione degli altri bisogni che ci sono e che in società anche solo poco complesse tendono, volenti o nolenti, ad articolarsi e a moltiplicarsi a partire dalle relazioni sociali) e, anche per questo, sono crollati socialmente prima ancora che politicamente(3). Se non è possibile formulare una gerarchia dei bisogni, siamo allora costretti a lavorare sulle risposte che ai bisogni si danno. Le risposte non sono tutte uguali e in questo senso la tipologia elaborata da Manfred Max-Neef mi sembra interessante. È evidente che il sistema sociale, economico e politico in cui viviamo abbonda di risposte distruttive, pseudo-risposte e risposte inibitorie, per riprendere i termini usati dall’economista cileno, mentre, nell’attuale degrado, anche le risposte singolari, limitate ma puntuali e che erano il tipico modo di affrontare il problema dei bisogni dello stato sociale, stanno andando in crisi insieme con le istituzioni che ne erano la sorgente. Incoraggiare il più possibile la produzione di risposte sinergiche è doppiamente importante: prima di tutto perché esse rispondono o quantomeno stimolano alla risposta di più bisogni e, in secondo luogo, perché esse sono endogene, stimolano cioè la creatività dei soggetti stessi(4). Alcune di queste risposte auto-generate rientrano senz’altro nell’ambito che ne L’altra via è definito del fai da te e per alcune cose nell’ambito della solidarietà collettiva ma, per me, i confini di queste zone non sono facili da definire e ci vorrebbe un lavoro ulteriore. Insieme a questo stimolo a risposte sinergiche, si dovrebbe anche, e concretamente potrebbe essere più rapidamente e facilmente realizzabile (sic!), rendere sempre meno convenienti le risposte che sono negativamente correlate ai bisogni e, per renderle meno convenienti, il primo passo è quello di farle costare quanto effettivamente costano e cioè riportare dentro al prezzo di acquisto di un bene o di un servizio, attraverso la tassazione, tutte le esternalità che invece ne sono state tolte e cioè quelle ambientali e quelle sociali. Qualche esempio: un sistema di misurazione dovrebbe, alla luce della migliore conoscenza scientifica disponibile, calcolare lo zaino ecologico dei beni e il prezzo di questi dovrebbe essere strettamente proporzionale alla grandezza calcolata; siccome l’accumulazione dei capitali si fa per lo più risparmiando sui costi del lavoro (delocalizzazione, precarizzazione del lavoro, ecc.) si dovrebbe lottare per il rispetto del lavoratore; siccome la pubblicità è in grandissima parte inquinamento culturale, andrebbe tassata come si dovrebbe tassare un’industria che sputa veleni nell’aria. Mi piace molto la sostituzione il più ampia possibile del denaro con il tempo, come prospettato in L’altra via, almeno per quanto riguarda i servizi pubblici, ma questo percorso credo che richieda tempo e, ripeto, non sono sicuro che possa funzionare su scala ampia per cui scoraggiare le risposte negative e incentivare quelle positive attraverso la fiscalità mi sembra una via che può cominciare ad agire da subito.

Per quanto riguarda la prima teoria riportata, quella di Doyal-Gough, punterei invece l’attenzione soprattutto sulle precondizioni procedurali e materiali da essa indicate. Le precondizioni procedurali mi sembrano assolutamente cruciali per assicurare le caratteristiche di razionalità, aderenza ai bisogni concreti e democraticità delle scelte operate, per evitare quindi il rischio di soluzioni ideologiche o superficiali nonché di soluzioni tecnocratiche che condurrebbero a una sorta di “eco-fascismo” cercando quindi di camminare nella area difficile da centrare ma assolutamente necessaria che intercorre fra bene comune e libertà personale da una parte, scientificità delle analisi e rispetto dell’esperienza concreta dall’altra. Anche le precondizioni materiali sono un importante punto di riferimento per valutare le scelte perché le soluzioni oltre a essere idealmente giuste e ben pensate, devono anche funzionare in pratica il che non è sempre vero soprattutto quando si tratta di pensarle non nella prospettiva di piccoli gruppi ipermotivati ma anche in quella di gruppi sociali più ampi dove questo alto livello di motivazione sicuramente non può essere presupposto.

Conclusione

Credo che su un punto così strategico com’è il terzo quesito dell’itinerario di Cerca la rotta ci sarebbe stato bisogno di un materiale di riflessione e di un’articolazione meno semplificatori di quella che effettivamente c’è. Ovviamente non posso certo essere sicuro che i materiali da me consultati e su cui ho riflettuto siano i migliori e i più utili, e ancor meno posso essere sicuro che le mie riflessioni siano pertinenti ma credo  che, se si vuole effettivamente trovare questa famosa rotta, ci si deve munire di concetti più articolati di quelli offerti a questo riguardo.

BIBLIOGRAFIA

Luciano Gallino, Dizionario di sociologia, UTET, Torino 2004

http://seminaritaifa.org/descarregues/Institucionalistes/Gough.pdf

http://www.max-neef.cl/download/Max-neef_Human_Scale_development.pdf

Note:

(1) In italiano si può trovare il loro libro, I. Gough-L.Doyal Una teoria dei bisogni umani, Franco Angeli, Milano 1999, ma io ho consultato alcuni articoli di Ian Gough in inglese che ho trovato su Internet.

(2) Di Max-Neef in italiano non ho trovato nulla ma solo un libro in inglese con un suo intervento piuttosto ampio.

(3) Credo che ci sia anche un altro problema e cioè quello dell’efficienza dell’organizzazione: un sistema come quello prospettato nell’opuscolo di Gesualdi può, secondo me, funzionare efficientemente solo su scala molto piccola (anche qui le organizzazioni centralizzate dell’economia che abbiamo conosciute nella storia del XX secolo insegnano) e quindi questo porta a delle scelte: liquidare lo Stato nazionale (ma lo Stato dovrebbe garantire tutto quanto rientra nei diritti fondamentali) a favore di piccole comunità il più possibile autosufficienti? Oppure quale equilibrio e con quali meccanismi porre in relazione queste due realtà se entrambe vanno mantenute? Questo è un problema che ci porterebbe lontano e io vorrei invece rimanere il più possibile aderente alla tematica dei bisogni ma, nell’ottica di un programma politico concretamente realizzabile, è comunque un aspetto che va affrontato.

(4) Va qui ricordato che per Max-Neef il bisogno non va visto solo come mancanza di qualcosa ma anche come potenzialità a produrre risposte.