La nuova economia ispirata ad equità e sobrietà: possiamo assumere i bisogni come criterio per abbozzare il quadro d'insieme? (Gruppo Milano Città)

1) Come possono essere classificati i bisogni in base al loro grado di necessita?

I primi bisogni fondamentali sono ovviamente quelli materiali: acqua, cibo, vestiario minimo, abitazione. Questi vanno garantiti a tutti. Ma oggi ci sono altri bisogni quasi altrettanto fondamentali per una vita dignitosa: assistenza sanitaria, istruzione e formazione, trasporti, comunicazione, cultura. E’ evidente che l’impossibilità di spostarsi o di comunicare (anche per via telematica) riduce fortemente il diritto di partecipare, di mettersi in relazione con gli altri, di essere informati, di informare, quindi di esprimersi pienamente, di formarsi un’opinione, di garantirsi opportunità di crescita personale e professionale.

Ovviamente, su cosa è essenziale e cosa no si potrebbe discutere all’infinito e ci sono molte idee diverse. Con la crisi ambientale che avanza, tuttavia, crediamo sia importante rendersi conto che la libertà è tale solo se va insieme alla responsabilità, ed è su questo secondo aspetto che va posto l’accento, soprattutto adesso. La mia libertà finisce dove inizia quella degli altri, e oggi tra gli altri vanno messi non solo gli esseri umani presenti e futuri (che sarebbe già un passo avanti), ma anche gli altri viventi e la terra nel suo insieme.

Credo che la soddisfazione dei diritti fondamentali abbia molto a che fare con la gestione dei beni comuni, che dovrebbe essere a livello sovranazionale, perché si tratta di beni che superano i confini nazionali, ma anche, alcuni, in situazione di crescente scarsità a livello planetario. Acqua, cibo, casa, lavoro sono diritti; ma lo sono anche, per esempio, la conoscenza e la comunicazione. Purtroppo il diritto all’accesso dei beni fondamentali si scontra con la smania della privatizzazione: non importa se l’umanità è sopravvissuta e ha aumentato le sue conoscenze solo grazie al fatto che da un lato l’acqua e altre risorse fondamentali (terra, bosco ecc.) erano almeno in parte a disposizione di tutti, dall’altro che il sapere poteva circolare liberamente. Oggi tutte le risorse dovrebbero, secondi i principi occidentali, piegarsi al diktat dei brevetti e del copyright: vale per testi, musiche e software come per la vita (compreso il dna umano, i semi e le piante ecc.). E non importa se la legislazione sul tema si mostra molto spesso inadeguata a “normare” aree come le conoscenze collettive o la biodiversità, motivo per cui molti paesi del Sud non sanno che pesci pigliare per proteggere questi patrimoni senza privatizzarli.

Difficile distinguere tra bisogni reali e indotti, difficile contrastare la paura di tornare all’era preindustriale, con le sue fatiche e i suoi problemi, o di finire nella realtà appiattita da “paese socialista” (per non parlare del “misero” sud del mondo). Oggi abbiamo una grossa difficoltà a prescindere dalla dimensione materiale del benessere. Che, del resto, ovviamente ha un peso. Chi avrebbe voglia di rinunciare alla lavatrice (specialmente tra le donne)? Non è affatto detto, del resto, che dovremo rinunciare a questo o ad altri strumenti tecnologici. Certamente però dovremo abituarci a non possederli privatamente, ogni famiglia o ogni individuo con le sue auto, i suoi elettrodomestici, il suo pc ecc. (inutilizzati per buona parte del tempo). Dovremo imparare a usarli in modo collettivo e magari “a noleggio” (e lo stesso vale per i mezzi di trasporto e per tante altri macchinari).

Tra i bisogni meno riconosciuti ci sono, invece, quelli di cura e relazionali, perché in gran parte non sono sul mercato e quindi non hanno un valore economico misurabile, benché alla base della vita. Non si tratta ovviamente di metterli “in vendita”, ma piuttosto di riconoscerne il fondamentale valore sociale e redistribuirli tra le persone di entrambi i generi e di tutte le età e i servizi pubblici, sottraendoli alla sfera economica privata.

 

 

2) In una situazione di risorse e spazi ambientali limitati a quali bisogni dare priorità? E' possibile immaginare un'economia equa e sostenibile senza programmazione?

Senza dubbio in una situazione di questo tipo occorre dare priorità ai bisogni primari, per intendersi quelli il cui soddisfacimento è necessario per la sopravvivenza., rispetto a quelli secondari.

In una società organizzata, altri bisogni ai quali dare priorità sono quelli collettivi, cioè quelli rivolti alla collettività ed alla sua crescita culturale e responsabile nella consapevolezza che l'ambiente è la nostra unica vera ricchezza e deve occupare il primo posto nei beni da tutelare.

Anche i bisogni individuali sono importanti, ma è sempre più evidente che ogni azione compiuta individualmente consuma più risorse rispetto a ciò che si può fare in gruppo.

Una categoria di bisogni alla quale non viene spontaneo pensare è quella dei “non bisogni o falsi bisogni”. Pensiamo per esempio ai video poker che si trovano al bar sotto casa e si possono trasformare in una sorta di dipendenza su persone dal carattere non sufficientemente forte.

Un altro non bisogno è, secondo noi, l'abitudine di aprire i locali notturni a mezzanotte che obbliga persone dal carattere già fragile, per lo più giovani o giovanissimi, ad affrontare bruschi cambiamenti di orario che finiscono per mettere in pericolo la loro stessa vita e quella degli altri in ossequio ad una illusione di libertà che, in realtà, diventa un obbligo a sottostare ad orari innaturali.

Siamo sicuri che anche la categoria dei “non bisogni” si potrebbe allungare riflettendoci più a lungo, ma siamo altrettanto sicuri che uno Stato consapevole dovrebbe modificare o scoraggiare certe pratiche dannose alla collettività e al singolo.

In una società complessa quale è divenuta la nostra non è più possibile immaginare un'economia che non sia programmata. A questo proposito nell'ambito dei bisogni primari, occorre prevedere un livello minimo di soddisfacimento a cui tutti i cittadini devono poter accedere se non dispongono del reddito sufficiente a farvi fronte. Perché allora non pensare, anziché al bonus in denaro che si presta a spese incaute ad una serie di forniture a costo zero per i meno abbienti? Ad esempio fornire a costo zero l'acqua o il gas o l'elettricità al di sotto di un certo reddito.

Un tipo di programmazione potrebbe anche consistere nella costituzione da parte dello Stato o delle Regioni di mense, comunali o rionali, per la distribuzione, gratuita o a prezzo simbolico, di pasti caldi ai meno abbienti. Il personale da assumere per lavorare in queste mense dovrebbe essere costituito da disoccupati, magari ultraquarantenni, che potrebbero essere assunti a tempo parziale in attesa di trovare un lavoro consono alla loro preparazione professionale. In questo modo si assicurerebbe ai senza lavoro un volano in attesa di trovare un'altra occupazione e un sostegno vitale di sopravvivenza agli indigenti e agli emarginati. Naturalmente queste mense potranno essere frequentate anche dagli altri cittadini che pagherebbero il costo del pasto che sarebbe comunque inferiore a quello di un comune self service.

I fondi per far funzionare queste strutture si potrebbero reperire eliminando i vari bonus sociali e sussidi di disoccupazione.

Una parte nella produzione di questi pasti caldi potrebbe essere affidata anche alle carceri che magari, con adeguate strutture, potrebbero preparare il pane, tovagliette di carta, bicchieri e altro; in ogni caso le carceri dovrebbero diventare delle fabbriche che devono produrre beni utili alla collettività. Naturalmente ai carcerati va riconosciuto il diritto a un lavoro pagato equamente.

 

 

3) Quali bisogni possono essere soddisfatti tramite il fai da te e gli scambi di vicinato?

I bisogni che possono essere soddisfatti tramite il fai da te sono tantissimi, molti più di quanti si possa immaginare. Sul fronte alimentare, è sufficiente concentrarsi su tutto quello che quotidianamente acquistiamo al supermercato per capire come non sia difficile sostituirlo con qualcosa di autoprodotto: basta un terrazzo, un balcone, qualche davanzale per farsi un (piccolo) orto in casa; e poi pane, piadine, pasta, conserve, marmellate… In questo senso, il libro di Filippo Schillaci, Vivere la Decrescita, una felice esperienza di autoproduzione, può essere illuminante e soprattutto può toglierci la paura che ci attanaglia ogni volta che ci troviamo di fronte a qualcosa da fare con le nostre mani. Perché si affermi il fai da te occorre però un cambiamento di pensiero. Oggi ci hanno indotti a pensare che le cose acquistate abbiamo un valore e una qualità maggiore rispetto a ciò che potremmo fare con le nostre mani. Questa concezione ci ha demotivato e fatto perdere la capacità di fare un sacco di cose che una volta era scontato farsi da sé. Stiamo perdendo l’uso delle mani poiché il mercato è in grado di offrirci già pronto tutto ciò di cui abbiamo bisogno, e molto di più.

Anche colui che ricorre il più possibile al fai da te rimane comunque vincolato ai produttori di materia prima (per cucirsi un vestito occorre la stoffa, la macchina da cucire o gli aghi, per cucinare il pane ho bisogno della farina, del forno,..). Per recuperare questi “materiali” indispensabili è auspicabile rivolgersi direttamente al produttore, evitando gli intermediari ( ciò che fanno i GAS).

Il “sai da te “ è ugualmente importante, anzi fondamentale, perché possedere gli strumenti ma non sapere come usarli è perfettamente inutile.

Essenziali sia per il fai da e che per il sai da te sono la formazione scolastica, i corsi vari, i manuali, ma anche molto utili sono i saperi delle persone che abbiamo intorno. Chi possiede particolari conoscenze e/o abilità dovrebbe sentire il bisogno/dovere di trasmetterle ai suoi famigliari, ai suoi conoscenti, in modo da non disperdere il sapere acquisito con l’esperienza.

In diverse città italiane stanno nascendo Laboratori del Saper Fare, utili per far circolare saperi, capacità, informazioni, istruzioni pratiche nel campo dell’autoproduzione di beni e in quello delle riparazioni domestiche. Si può così imparare a soddisfare i bisogni più svariati attraverso il fai da te: riparazioni e manutenzione domestiche, coltivazione di erbe utili non solo dal punto di vista alimentare ma anche medico-curativo, risparmio dell’energia, confezione di abiti e accessori, costruzione di mobili e piccoli oggetti di uso comune, produzione di detersivi e cosmetici, fino addirittura alla produzione di energia.

Quest’ultimo è un aspetto che ha grandi potenzialità: autoprodurre energia, attraverso la costruzione di pannelli solari ma anche con la micro-cogenerazione (generazione di energia termica per autoconsumo ed energia elettrica vendibile poi alla rete) è una possibilità non più così remota.

Resta il fatto che sia per acquisire nuove conoscenze che per autoprodursi qualcosa ci vuole tempo, il tempo che una persona che lavora otto ore al giorno fa fatica a trovare.

Per evitare di ricorrere all’aiuto” dei servizi offerti dal mercato si può pensare ad un sistema di scambi di natura gratuita fra vicinato.

Per una città la dimensione giusta potrebbe essere il condominio. Si potrebbe immaginare che il ruolo dell’amministratore di condominio possa anche essere quello di raccogliere le competenze di ciascuno per poi istituire una sorta di banca del tempo condominiale che possa servire sia a svolgere internamente la gestione del condominio (pulizie, spazzatura, piccoli interventi edili, perchè no portineria gestita a turno dagli anziani del palazzo!) evitando di delegarla ad imprese esterne, sia a mettere in contatto fra loro le professionalità delle singole persone.

E’ più difficile immaginare la stessa cosa per territori più dispersi, come le campagne o le montagne. E’ vero anche che i territori più dispersi sono anche quelli in cui le competenze “di base” del fai-da-te si sono mantenute di più perciò più raramente si potrà avere bisogno di un giardiniere o falegname esterno, così come è anche vero che più facilmente i nonni vivono vicini alle famiglie dei figli e le mamme più spesso non hanno un lavoro esterno.

Un altro ordine di scambi gratuiti riguarda il prestito. Il prestito funziona perfettamente per tutta quella serie di oggetti che non sono di uso quotidiano, anzi magari vengono usati una settimana all’anno o poco più. Fra gli esempi che ci vengono in mente ci sono: 

  • Attrezzature sportive (sci, muta, canoa, attrezzatura da arrampicata...)

  • Attrezzi per riparazioni particolari (chiavi inglesi, cacciaviti, brugole, tenaglie...)

  • Macchine particolari (tagliaerba, Imbottigliatrice, macchina da cucire, stampante, fotocopiatrice, fax...)

  • Attrezzi da cucina di uso non quotidiano (pentole grandi, set da fonduta, pentole di coccio...)

  • Libri

Sempre pensando a una gestione condominiale di tali oggetti, basterebbe liberare due/tre cantine (...se salubri!) e adibirle a magazzino/biblioteca/copisteria. La gestione dei prestiti e delle prenotazioni degli oggetti può avvenire comodamente attraverso un sito internet.

Esperienze di questo tipo si stanno già avendo con il cohousing (http://www.cohousing.it/) e in maniera sicuramente più spinta all’interno delle comunità di famiglie di ACF (http://www.comunitaefamiglia.org/index.php?option=com_content&task=view&id=126&Itemid=151)

Un capitolo a parte lo meritano i mezzi di trasporto. Temiamo che sia più complicato avviare un sistema di car sharing diffuso capillarmente, anche se le esperienze delle città austriache di Vienna e Salisburgo con i “Quartieri solari e senza auto” (Floridsdorf, Gneiss Moss, Bike City, Samer Mosi), esposte recentemente alla mostra “Green life” alla Triennale di Milano, dimostrano che è possibile. Piuttosto, a livello di quartiere potrebbe essere incentivato il car-pooling.

 

4)  Quali bisogni debbono essere affidati all'economia pubblica?

Vi sono alcuni bisogni sicuramente pubblici, nel senso che riguardano la collettività umana presa in quanto insieme organizzato che deve riprodurre se stesso alla ricerca di rapporti di giustizia, al di là dei desideri e dei sogni dei singoli.
Proviamo ad elencarli.
Possiamo qui parlare di beni comuni e/o di pubblica utilità (come le fonti rinnovabili, nella Legge Iniziativa Popolare presentata in Cassazione il 7 giugno 2010).
La partecipazione democratica, esercitata, nel livello rappresentativo, mediante gli apparati istituzionali e politici.
La difesa, che può anche essere esercitata in forma non armata attraverso il servizio civile.
La moneta, come unità di conto della ricchezza e facilitatore degli scambi economici.
Il grande credito, attraverso banche pubblicizzate e nazionalizzate.
La giurisdizione, attraverso i tribunali penali, civili, amministrativi.
Gli standard essenziali dell'abitare, curarsi, spostarsi, istruirsi, informarsi, disporre dell'acqua e dell'energia necessaria all'esistenza.
Questi standard devono essere garantiti mediante istituzioni e reti pubbliche, e mediante aziende speciali di proprietà pubblica e possibilmente con la partecipazione degli utenti.
L'accesso individuale agli standard essenziali dell'esistenza sociale va garantita istituendo un "reddito di cittadinanza" monetario da riconoscere a tutti (in parte e con vari limiti, la misura è già praticata in quasi tutta Europa).
Questo reddito deve servire anche e soprattutto per garantire in ogni caso l'accesso ai beni alimentari (magari con una card ad hoc spendibile solo nei negozi specializzati).
Parte di questi bisogni pubblici possono essere soddisfatti attraverso un lavoro di servizio civile, obbligatorio in particolare nella difesa, in forme più elastiche e "volontarie" negli altri campi.

 

 

5) Quali bisogni possono essere soddisfatti tramite il mercato?

Il mercato può soddisfare anche alcuni bisogni fondamentali di tipo materiale, come l’informazione, la cultura ecc., ma deve essere fortemente regolamentato in modo che i servizi rispondano alle esigenze collettive e non a interessi di parte e che siano il più possibile indipendenti da condizionamenti economici. Anzi, per alcuni beni comuni occorrerebbe in realtà un “governo sovranazionale”: per esempio l’acqua, la terra fertile, la conoscenza in senso generale, la ricerca. La conoscenza per esempio solo come patrimonio collettivo può sostenere dei cambiamenti positivi, mentre negli ultimi due secoli l’imposizione di brevetti e copyright ostacola sempre più la condivisione e dunque il progresso dei saperi. Se da una parte dunque è giusto compensare in modo equilibrato l’impegno di ricercatori e intellettuali, dall’altra parte è necessario non solo garantire a tutti gli esseri umani l’accesso alla comunicazione, alla conoscenza, alla cultura (sia come utenti che come produttori), ma anche regolamentare rigorosamente sia la libertà di restare fuori dal sistema di brevetti e copyright senza fare dei propri patrimoni (per es. saperi e biodiversità) “terreno di caccia” da sfruttare economicamente, come avviene adesso, sia la possibilità di brevettare (escludendo per esempio gli esseri viventi). Inoltre la ricerca su temi cruciali, come le energie rinnovabili o i farmaci essenziali, dovrebbe essere rigorosamente pubblica, cooperativa e finanziata con la fiscalità generale.

In generale, alcuni beni che soddisfano bisogni fondamentali, come l’acqua e l’energia, dovrebbero essere gestiti dal pubblico e in modo partecipato, anche con forme di azionariato sociale.

I soggetti da individuare non sono soltanto pubblico e privato, ma anche il privato sociale e la società civile con le sue diverse forme di coordinamento possibile. Inoltre devono essere garantite a tutti, tramite la fiscalità generale, i livelli essenziali di fornitura, mentre lo spreco (a livello privato ma anche aziendale) dovrà essere il più possibile scoraggiato con tariffe progressive e il gestore dovrà porre molta attenzione alla manutenzione, all’uso efficiente e alla riduzione degli sprechi, oltre che al mantenimento dell’occupazione e alla garanzia di standard ottimali per gli utenti. E’ evidente che tutto questo è ben difficile da attuare se l’interesse prevalente è il profitto (o se il gestore è addirittura quotato in borsa).

Alcuni beni e servizi essenziali possono essere forniti dal mercato, ma sotto stretto controllo del pubblico, che dovrà regolamentarne rigorosamente la fornitura e la distribuzione, premiando con la leva fiscale e varie forme di sostegno diretto e indiretto i beni locali, prodotti e distribuiti nel maggior rispetto dell’ambiente e dei diritti sociali e dei lavoratori.

I beni e i servizi voluttuari o comunque non essenziali (comprese le prestazioni professionali, come per esempio i servizi di certificazione), infine, potranno essere forniti dal mercato, ma anche in questo caso strettamente regolato sia per quanto riguarda l’uso di energia e risorse naturali (per le quali la priorità – con la necessaria programmazione – sarà data alla produzione di beni e servizi essenziali), sia per quanto riguarda i diritti dei cittadini, dei lavoratori e dei consumatori. Occorreranno leggi sovranazionali e nazionali per limitare il potere e le dimensioni dei grandi gruppi economici e finanziari, la misura dei loro profitti, gli stipendi dei grandi manager, le possibilità di speculazione finanziaria (la finanza puramente speculativa andrebbe vietata per i danni che produce all’economia reale e per la concentrazione di ricchezze che favorisce).

In generale, le leggi nazionali e sovranazionali dovranno ispirarsi a principi di interesse collettivo, che prevale comunque sull’interesse privato, e i reati ambientali e sociali essere equiparati a quelli contro le persone e prevalere rispetto a quelli relativi alla proprietà privata.

Infine, l’uso di beni e servizi anche voluttuari deve essere il più possibile collettivizzato.

Per fare un esempio, l’uso dell’auto privata (a basso consumo di carburante e il meno inquinante possibile) dovrà essere il più possibile condiviso tramite car sharing, car pooling, ecc.