Le paure sociali che ci tengono legati alla crescita: come superarle? (Gruppo Bologna)

1) A cosa serve il lavoro? Quante forme di lavoro conosciamo?

Non ci è facile definire il lavoro nella sua essenza in un'unica formula. Abbiamo preferito soffermarci su quelle che ci sembrano alcune sue caratteristiche fondamentali:

  • Lavoro come attività NECESSARIE alla sussistenza mia e di altri, quindi lavoro legato al soddisfacimento di bisogni

  • Lavoro RETRIBUITO, che serve per acquistare dei servizi

  • Lavoro come espressione della RICCHEZZA dell’uomo, il quale è il vero capitale

  • Lavoro come ORGANIZZAZIONE del TEMPO in vista di un fine

  • Lavoro come SFORZO (labor = fatica) per costruire la COMUNITA’ (“La Repubblica Italiana è fondata sul lavoro”, articolo 1 della Costituzione)

Dal punto di vista MONETARIO, la divisione più macroscopica è tra lavoro retribuito e lavoro non retribuito. Il lavoro non retribuito può a sua volta essere suddiviso in autoproduzione, lavoro di cura e volontariato.

Il lavoro di sussistenza (Illich)(lavoro di vita, “per vivere”) consiste nel soddisfare bisogni disponendo dei mezzi di produzione e con consapevolezza dei fini. Può avvenire in ambito artigianale, professionale, Cooperativo). L'autoproduzione è una modalità del lavoro di sussistenza.

 

 

2) Tutte le forme di lavoro hanno bisogno di crescita o solo quello salariato?. Rimanendo all’ambito privato, quali forme di lavoro possiamo potenziare per permettere a tutti di soddisfare i propri bisogni senza far crescere i consumi?

La definizione di crescita si accompagna al concetto del PIL per cui il lavoro salariato ha sicuramente bisogno di crescita. Ma se è vero che il lavoro salariato ha bisogno della crescita, non è necessariamente vero il contrario: che la crescita assicuri un aumento del lavoro salariato. Gorz, fa un esempio: fra gli anni ottanta e novanta, in un periodo di espansione economica i profitti delle imprese sono aumentati, così come i compensi dei livelli dirigenziali, mentre sono diminuiti quelli degli operai e degli impiegati, e il numero dei loro posti di lavoro. Importane sottolineare come, in questo periodo, siano diminuiti pure i tassi di investimento delle imprese. In una prospettiva rivolta verso un futuro di decrescita, il problema è capire come sopravvivere con una diminuzione del lavoro salariato. Oggi la situazione si aggrava perché nelle zone più povere del pianeta è disponibile mano d’opera a condizioni quasi ‘schiavistiche’. Il capitale quindi non ha più neanche bisogno di investire in nuove tecnologie, basta delocalizzare la produzione, se i costi di trasporto per far rientrare le merci restano convenienti.
Al giorno d'oggi, quindi, assistiamo ad un aumento della complessità a diversi livelli del flusso di lavoro che non porta ad incremento di occupazione; inoltre, tante forme di artigianato e specializzazione locale che esistevano un tempo, sono attualmente scomparse. Le forme di lavoro da potenziare sono quelle finalizzate al soddisfacimento dei bisogni fondamentali delle persone. Le forme di lavoro che consentono di soddisfare i bisogni senza aumentare i consumi possono essere il lavoro di cura (favorirlo significherebbe ridurre la necessità di un reddito più alto, per pagare chi questo lavoro lo fa al posto nostro), il volontariato o il terzo settore.

Ci sono alcune forme di lavoro che non portano a un aumento dei consumi ma a un nuovo rapporto con i prodotti. Queste sono le attività di autoproduzione, di riparazione degli oggetti, e di riciclo. Anche le attività di progettazione dei prodotti in modo da farli nascere già pronti per essere riciclati e riutilizzati in tutte le loro parti, sono attività che possono contribuire a creare nuove figure professionali senza necessariamente aumentare i consumi.
Tra i bisogni fondamentali delle persone non ci sono solo quelli materiali, ma anche quelli sociali, intellettuali e spirituali. Disintossicarsi dalle cose consente di passare più tempo con gli altri. Molte attività educative, culturali e ricreative che mirano a soddisfare questi bisogni portano a un incremento di lavoro senza un incremento dei consumi. Ci sono poi esperienze pratiche di soddisfacimento dei bisogni con contenimento dei consumi come le banche del tempo o i gruppi di acquisto.

Ma ridurre il consumo significa che deve cambiare il regime di vita dei paesi sviluppati, e questo non può non comportare una politica di redistribuzione, di riequilibrazione delle relazioni sociali. Il cuore della questione è marginalizzare il principio di massimizzazione del profitto , ponendo la logica cooperativa al centro del sistema economico. (H: Kempf, Per salvare il pianeta dobbiamo farla finita col capitalismo, Garzanti, 2010).

 

 

3) Se valutassimo i settori produttivi in base all'utilità e alla sostenibilità, che percentuale di posti di lavoro stimiamo di dovere eliminare? Si tratterebbe di una perdita secca o altri mestieri e altri settori andrebbero potenziati in un'ottica di sostenibilità?

Nell'ottica di utilità e sostenibilità sicuramente una grande percentuale di posti di lavoro sarebbero da ridimensionare o eliminare, ma potrebbero venire in larga parte assorbiti dai settori da potenziare:

  • Settore energie rinnovabili

  • Sviluppo delle economie locali

  • Attività di consulenza a privati ed enti pubblici sulle buone prassi (a livello di consumo energetico, di progettazione urbanistica)

  • Progettazione di prodotti orientati al riuso e riciclo

  • Progettazione urbana orientata a creare spazi di socialità e aggregazione, riducendo al minimo indispensabile l'utilizzo di mezzi di trasporto e favorendo invece mezzi non inquinanti: i piedi e le biciclette

  • Ristrutturazione di edifici pubblici e privati in vista di un “efficientamento” dal punto di vista energetico. Sono investimenti onerosi sul momento ma che porterebbero dei vantaggi e dei risparmi notevoli in una prospettiva più lunga.

  • Ricerca in tutti i campi, formazione ed ‘educazione’.

Da ridurre il settore auto. Oggi l'auto è in un certo senso il perno di un certo modello di sviluppo e l'industria automobilistica è sempre uno dei settori che si vuole potenziare quando si tenta di fare crescere l'economia, mentre ormai è destinata a diventare un lusso ed è un controsenso aumentarne la produzione.

Nei diversi settori si potrebbero avere i seguenti scenari:

  • in agricoltura → con la diminuzione delle fonti di energia potrebbe aumentare la richiesta di manodopera

  • nell'industria → se ci si orienta verso un'economia locale, eliminando l'esternalizzazione del lavoro verso paesi con manodopera a basso costo, aumenterebbe la richiesta di monodopera

  • nel terziario → con una diminuzione dell'occupazione orientata ad una semplificazione di questo settore, in cui sono sempre più aumentati nell'arco degli anni burocrazia e livelli di complessità, probabilmente si otterrebbe un aumento del benessere: cioè liberare, aumentare, la capacità della gente di fare da sé, senza ricorrere a professionisti.

 

 

4) Quali richieste immediate avanzare al sindacato,ai partiti,alle istituzioni per favorire lo spostamento produttivo e redistribuire il ridotto ammontare di lavoro salariato?

Riteniamo importante spingere e fare pressione sul sindacato e sulle istituzioni in più direzioni.

E’ assolutamente prioritario chiedere che venga adottato un coordinamento delle politiche sindacali a livello europeo e se possibile internazionale. Ormai le scelte nazionali sono totalmente condizionate dal mercato del lavoro globalizzato. Difficile ad esempio impedire che le condizioni di lavoro in Italia (Pomigliano) peggiorino se c’è la totale libertà di trasferire la produzione in paesi dove le condizioni di lavoro sono molto vantaggiose, e inique. Riteniamo quindi indispensabile promuovere ‘Patti di Scambio’ per le ‘produzioni’ effettuate in altri paesi. La protezione dei mercati deve essere più attenta alla produzione locale, specie per i prodotti atti a soddisfare i bisogni della comunità.

Ci sembra quindi importante iniziare a parlare con chiarezza della necessità di recuperare una dimensione di tipo locale e “distrettuale”, per le quali si dovrebbe poter chiedere ‘deroghe’ di complessità’ normativa. Potenziare, quindi, la dimensione locale dell'economia non solo nell'ambito agricolo (come già si sta facendo), ma anche a livello industriale. Oggi molto lavoro manca perché l'industria si è trasferita in altri paesi.

Bisogno fondamentale di una comunità è anche e soprattutto la salvaguardia e cura dell’ambiente : ciò permetterebbe il ‘riassorbimento’ di migliaia di posti di lavoro.

Dobbiamo inoltre far circolare l'idea che lavorare meno e guadagnare meno non significa ridurre la qualità della vita, anzi il contrario, se accettiamo il concetto che sulla qualità della vita incidono più le relazioni tra le persone che i beni materiali in nostro possesso. E comunque va rivendicata con forza una distribuzione più equa delle ricchezze e il rifiuto degli squilibri ingiustificabili del sistema, con una lotta più seria all'evasione fiscale, la tassazione sui patrimoni e soprattutto sulle transazioni finanziarie, con accordi internazionali. La tassazione dei redditi più ricchi è un requisito necessario per andare verso la giustizia, condizione fondamentale per l’armonia sociale.

Ci vorrà anche una politica planetaria fondata sulla riduzione delle diseguaglianze, su un sistema dei prezzi che incorpori l’impatto ecologico dei beni, sul ‘razionamento’ di risorse esauribili.

Da promuovere anche una riduzione dell'orario del lavoro (incentivi alle aziende che usano il part-time). Forse le indicazioni più utili e interessanti, seppur vecchie di 20 anni, ci vengono dal Nord Europa. Occorre distinguere tra “Lavoro non continuo” e “Lavoro precario”, non sono la stessa cosa. Una prima richiesta potrebbe essere quella di potenziare il lavoro non-continuo, facendo turni tra più lavoratori e riducendo i giorni lavorativi. Ci sono già in alcuni paesi esperienze di questo genere. Ad esempio 1 giorno sui 5 lavorativi della settimana si sta a casa, a rotazione. Oppure sempre a rotazione si sta a casa 1 settimana al mese. Oppure in ogni turno va lasciato fuori il 10% della forza lavoro dell'azienda.
Queste soluzioni sono da intendere come forme di solidarietà della comunità : chiedere a chi guadagna 1000 di scendere a 700 sarà possibile solo a fronte di altre offerte di servizi o bonus che compensino il lavoratore o le famiglie. Un meccanismo potrebbe essere quello di  compensare la riduzione di ore di lavoro salariato, lavorando alcune ore per lo Stato con una corrispettiva riduzione delle tasse in busta paga.

Queste soluzioni non andrebbero considerate come lavoro precario ma come futura condizione per consentire una distribuzione del lavoro più ampia e anche un aumento di benessere dei singoli cittadini che potrebbero avere più tempo per attività sociali e private. Sarà quindi una fase di transizione contingente. Un domani si spera che sia possibile una riduzione del tempo di lavoro per tutti compensato da una più equa distribuzione delle ricchezze.
Come già dimostrato in altri paesi europei i lavoratori che, a causa di una diminuzione del lavoro, sono costretti inizialmente ad accettare forme di lavoro part-time o con orario ridotto si sono trovati poi ad apprezzare questa nuova situazione e a non voler tornare a quella iniziale.
Come dice Gorz quindi tutte le forme di discontinuità e flessibilità potrebbero essere trasformate in opportunità.

Può essere efficace anche l'approccio di Lester Brown, che non mette in discussione il sistema, ma chiede comunque che i prodotti vengano tassati in base al costo sociale e ambientale sia del prodotto finito sia del processo di produzione. Forse questi argomenti oggi possono avere maggiore presa anche in seguito a vicende come quelle della azienda petrolifera britannica BP.

Questo nuovo modo di pensare la società e il lavoro inizi ad essere proposto nelle scuole, là dove le menti sono forse meno condizionate e più predisposte ad accogliere idee nuove. Tutte le esperienze che si producono su queste strade assumono forza e significato solo se si iscrivono nel movimento politico che porta ad uscire dal capitalismo. A tale scopo servono coscienza comune, solidarietà di lotta, intermediari politici (H. Kempf, già citato).

Da diversi anni aumentano e acquistano importanza gli studi di non pochi economisti che mettono in discussione il PIL come unico criterio, o il più importante, nel definire lo sviluppo e il benessere di una nazione. Tra gli altri indicatori l'istruzione, il grado di libertà interna, la felicità...(tutte dimensioni non materiali) Amartya Sen a livello mondiale e Stefano Zamagni a livello nazionale sono gli autori più conosciuti. Lo stesso Sarkozy ha promosso la formazione di una commissione di studi su questo tema (Fitoussi-Stiglitz-Sen). Si potrebbe nell'immediato pressare Sindacati e Istituzioni affinché aumentino la loro attenzione a queste direzioni di ricerca. Già in parte lo si sta facendo.

 

 

5-6) L'economia pubblica va concepita unicamente come un comparto che spende o che produce anche ricchezza? La sua capacità di produrre ricchezza su cosa si fonda? Per la parte che produce ricchezza, si possono immaginare forme di contribuzione collettiva che non risentono dell’ andamento dell’economia generale?

Intendiamo per ricchezza la produzione di beni (materiali) e di benessere (servizi).

Lo Stato produce ricchezza sia in modo diretto che in modo indiretto.

La capacità dello stato, quindi della comunità, di produrre ricchezza si fonda sulla possibilità di disporre dei beni del territorio (che sono comuni e non privati), e del lavoro delle persone, in vista del bene collettivo.

In particolare, è compito dello Stato (della comunità) garantire alle persone la fruibilità di tutti i beni essenziali: sanità, istruzione, energia, acqua, trasporti e mobilità, comunicazioni, casa.

Riteniamo che questi bisogni fondamentali non siano mercificabili e non siano quindi soggetti alle leggi del mercato e alla logica del maggior profitto.

Una gestione pubblica si distingue da una privata per il fatto che il gestore opera per conto della comunità interessata al fine di aumentarne il benessere senza prevedere profitti per il gestore.

Al contrario, un privato investe del capitale e questo deve dargli necessariamente un profitto, per giustificare l’investimento effettuato.

Le privatizzazioni dell'acqua, dell'energia, dei trasporti, ecc. non hanno aumentato il benessere dei cittadini ma le tasche degli investitori, per questo pensiamo che la gestione dei servizi fondamentali debba essere pubblica.

Come poi si declinerà questo "pubblico", dipenderà dagli ambiti (locale, comunale, regionale, ecc.) ma fondamentale dovrà restare il  principio che non è un "business" ma un servizio.

Ad esempio, nelle valli trentine e tirolesi ci sono acquedotti e centrali elettriche che sono in mano a privati cittadini che si sono consorziati per curare gli interessi della loro comunità.

Lo Stato (la comunità) produce ricchezza se è gestito in modo efficiente ed efficace: lo potrà essere se la comunità sarà in grado di responsabilizzarsi alla gestione e al controllo del soddisfacimento dei bisogni sociali.

Una forma di contribuzione collettiva alla ricchezza che non risente dell’andamento dell’economia generale può essere il lavoro fornito dalle persone tramite servizio civile obbligatorio, permanente, secondo la capacità di ciascuno. L’accesso a questa risorsa, il lavoro sociale, può essere facilitato dalla sempre maggiore disponibilità di ‘tempo’ prodotta dalla riduzione dell’orario lavorativo.