Fai da te ed economia di vicinato: quale ruolo e come potenziarli? (Gruppo Milano Città)

1) Avrebbe senso conteggiare nel P.I.L. Il fai da te?

Il P.I.L. È uno dei termini più usati dai media ma del quale le persone, a volte, hanno un'idea approssimativa. Tutti sappiamo genericamente che serve a misurare il reddito di una nazione, di conseguenza, più esso è elevato, più è possibile soddisfare con maggior facilità le proprie necessità.
Per stabilire se un sistema economico sta andando bene o male si prende in considerazione la sommatoria dei redditi guadagnati da tutti i componenti della società e cioè il PIL (Prodotto Interno Lordo).
Il PIL comprende, oltre ai redditi, anche tutti i beni prodotti nell'economia, venduti legalmente e di nuova produzione (l'illegale e l'usato non fanno parte del conteggio).
Il PIL pro-capite è, perciò,  soltanto la misura della possibilità, media, di ottenere i mezzi per vivere una vita degna di essere vissuta.

Esso non è una misura perfetta del benessere economico perché:

  • non comprende alcuni dei fattori che contribuiscono alla migliore qualità della vita (ad esempio il tempo libero, l'istruzione, la salute, l'intelligenza);
  • non comprende il valore delle attività svolte al di fuori di un mercato (produrre il pane in casa, la cura dei propri figli, le attività di volontariato); 
  • non comprende la qualità dell'ambiente; 
  • non ci dice nulla sulla distribuzione del reddito (dietro al reddito medio pro-capite ci possono essere situazioni personali molto diverse ed anche di grande disagio economico).

Misurare le cose di cui sopra è molto complesso, oltre a ciò, poiché ci troviamo in un mondo ormai globalizzato, non avrebbe senso che una nazione individualmente decidesse di cambiare le regole di conteggio del PIL, per arrivare alla formulazione di un indice, diciamo di “Benessere Economico”, che non sia condiviso anche dalle altre nazioni del mondo, perché il PIL, nella sua inadeguatezza, ha il vantaggio di poter essere confrontato con quello degli altri, e riteniamo sia questa la sua principale funzione.
 Allo scopo di migliorare o addirittura sostituire il PIL con altri  indicatori che considerino gli aspetti qualitativi e non solo quantitativi delle attività economiche sono al lavoro commissioni di esperti di tutto il mondo e di varie prestigiose organizzazioni, citiamo:

  • l'associazione “Friends of the Earth” che sta lavorando in collaborazione col CES (Center for Enviromental Strategy), il NEF (New Economic Foundation) ed altre organizzazioni che sta elaborando un Indice di Benessere Economico Sostenibile (IBES)
  • il Global Project “Measuring the Progress of Societies” dell'Ocse, 
  • la commissione Stiglitz-Sen-Fitoussi “Measurement of Economic Performance and Social Progress” in cui oltre ai due Nobel lavorano numerosi altri accademici di fama internazionale.

 Entrare nel merito di quali elementi sia più opportuno inserire nel PIL non pare una missione percorribile al nostro livello di indagine con i modesti mezzi di cui disponiamo.
Quello che ci sentiamo di affermare è che il prodotto cambierebbe in modo significativo in base all'obiettivo che venisse preso come scopo principale del nuovo indicatore.
Ad esempio se come fattore principale del calcolo venisse presa “la competizione produttiva” l'indicatore sarebbe molto diverso se, invece il fattore principale fosse “l'ambiente” ed ancora diverso se a guidare il calcolo fosse “la qualità della vita”.
Per questo motivo riteniamo che sia molto importante cercare di influenzare e coinvolgere l'informazione sociale a tutti i livelli ed i media per spostare l'attenzione degli esperti che lavorano su questi argomenti verso obiettivi di sostenibilità ambientale e qualità della vita piuttosto che sulla competizione nella produzione.
Premesso che un'eventuale rilevazione e quantificazione del fai da te, a livello nazionale, appare molto problematica se non impossibile, riteniamo, per quanto esposto in precedenza, diventi un fatto secondario la possibilità di inserire il fai da te nel conteggio del PIL ma piuttosto sia molto più importante pervenire ad un indicatore completamente nuovo il cui nome resta da definire ma che non si chiamerà più PIL.

 

 

2) Come riformare la scuola per accrescere la nostra autonomia lavorativa?

Prima di tutto, la scuola dovrebbe riformarsi profondamente e in modo complessivo, cambiando radicalmente metodo e impostazione invece di limitarsi a reintrodurre una materia tipo “applicazioni tecniche”. Non basta infatti saper fare il pane o riparare una bicicletta o avere qualche rudimento di elettrotecnica o di idraulica, se non impariamo (o reimpariamo) a essere cittadini consapevoli e responsabili del mondo e del territorio dove viviamo, se non diventiamo “esperti” di relazioni e di cooperazione, se non sappiamo valutare l’impatto delle nostre scelte sugli altri e sul resto del pianeta.
Si tratta quindi di rivedere radicalmente lo stile educativo, le pratiche pedagogiche e i principi che le guidano, ispirandosi del resto a teorie e sperimentazioni nate in parte in Italia (Montessori, Pizzigoni), ma anche legate per esempio alla pedagogia della liberazione. Una scuola, dunque, capace di creare “comunità” che sanno autoeducarsi e sviluppare l’apprendimento cooperativo (anche per rendere le persone in grado di ricostruire buoni rapporti di vicinato, sempre meno diffusi), capaci di costruire fin dall’età delle elementari democrazia vera e partecipata; una scuola che sappia sostenere tutti gli aspetti della crescita e sviluppare tutte le forme di intelligenza: emotiva, relazionale, pratica, ecc, e non solo le forme astratte e verbali, come avviene adesso.  Una scuola che incoraggi la creatività e la ricerca di soluzioni “personali”, l’autonomia pratica e il gusto di fare le cose da sé; una scuola che stimoli il pensiero critico e la capacità di cooperare, che formi al senso di responsabilità personale verso il collettivo.
Solo in questo quadro ha senso pensare a una formazione che includa anche la capacità di produrre (e riparare, conservare ecc.) per il proprio e altrui consumo. Una formazione che, per non essere superficiale, dovrebbe iniziare fin dalle scuole materne e comprendere un buon numero di ore, anche considerando che riguarda un’area vasta di settori.

Tenendo conto di queste premesse indispensabili per una soddisfacente riforma scolastica, ci sembra quindi essenziale introdurre nei programmi scolastici di ogni livello:
- l'educazione ambientale 
-            "           civica,  puntando su diritti e doveri,
-            "           alimentare, principalmente nelle sue implicazioni sulla pace e sull'ambiente,
-            "           domestica, principalmente per eliminare gli sprechi,
-            "           sanitaria, con occhi attentissimi ai metodi e alle medicine alternative.

Nel testo dei Ministeri dell'ambiente ed istruzione si parla di non meglio precisati contributi esterni.
Ci pare che proprio nelle scuole si possa allora attualizzare, sperimentando gradualmente, l'idea di avviare una TERZA VIA con la collaborazione tra pubblico e privato.
Essa sarebbe da perseguire, tra l'altro anche per questi elementi positivi:
A - partecipazione diffusa,
B - lotta agli sprechi ed alla corruzione,
C - possibilità quindi di diminuzione delle tasse.

Detto questo occorre evitare almeno questi rischi:
1 - non deve essere una fonte di volontariato,
2 - non deve avere nè utili nè perdite,
3 - è un'alternativa, ma, dove non funzionasse, i diritti devono essere assicurati,
4 - pericolo di localismo e mancanza di sussidiarietà.

I programmi ministeriali saranno redatti con la partecipazione della società civile e dovranno contenere tutti gli aspetti dell’educazione sopra indicati, integrati localmente con storie, tradizioni, memorie, culture del territorio.
Lo Stato e le Regioni dovranno preoccuparsi seriamente della formazione degli insegnanti, stanziando fondi per corsi di aggiornamento preparati con l’ausilio anche di esperti territoriali.
I formatori territoriali potranno avere degli stacchi aziendali o delle agevolazioni comunali ( esenzione pagamento bollette...!) pagate dallo stato alle aziende ed ai comuni.
Così non ci sarebbero eventuali nuovi " carrozzoni" istituzionali.

 

 

3) Quali riforme legislative introdurre per accrescere gli ambiti del fai da te?

Le riforme legislative necessarie per accrescere gli ambiti del fai da te sarebbero così diverse e opposte a tutte le politiche applicate da almeno 30 anni a questa parte che richiederebbero una rivoluzione speriamo omeopatica ma ben più radicale della rivoluzione d'ottobre.

Da un punto di vista metodologico, sicuramente la prima strada percorribile è quella degli Enti locali dove le scelte di politica amministrativa sono più facili da indirizzare grazie a un rapporto più diretto tra eletti ed elettori, e dove il perseguimento di obiettivi finalizzati al bene comune della comunità territoriale rafforza i legami sociali (come già avviene per esempio nell’ambito delle Transition town e, in Italia, dei Comuni virtuosi). A livello locale sarà più semplice per esempio indirizzare la creazione di occupazione verso attività lavorative finalizzate a migliorare la qualità ambientale e l’autosufficienza alimentare.
A livello locale si può pensare poi a incentivi concreti per quanti provvedono all’autoproduzione di energia: questo in parte già esiste, ma di certo è uno dei settori che maggiormente ha potenzialità di sviluppo.
A livello locale, inoltre, è più facile prevedere dei programmi di formazione al fai da te: questa è forse la prima necessità, visto che ormai si è persa quella “trasmissione dei saperi” tra vecchie e nuove generazioni che era alla base del nostro “saper fare”.
Le amministrazioni locali potrebbero poi dedicarsi all’educazione dei cittadini a una gestione responsabile degli oggetti di cui decidono di disfarsi.
E magari incentivarli a tutte le forme dell’autoproduzione.

Bisogna tener conto che le esperienze e i risultati ottenibili a livello locale sono replicabili, per cui la loro somma può raggiungere una dimensione in grado di influenzare le scelte politiche a livello nazionale.

A livello nazionale è difficile individuare riforme legislative specifiche per accrescere gli ambiti del fai da te. Ma di certo una prima idea di riforma più generale può essere la riduzione dell’orario di lavoro.
Se pensiamo al lavoro come un’attività finalizzata all’accrescimento del proprio reddito da impiegare poi per acquistare beni che potremmo tranquillamente produrci da soli, tanto vale lavorare meno e impiegare il tempo così risparmiato nel fai da te.
Forse le ore di lavoro tagliate potrebbero essere dedicate a programmi di formazione.
A questo punto si entra nell’ambito dell’educazione, cioè della scuola, che dovrebbe essere ripensata per prevedere anche ambiti dedicati specificatamente al fai da te.

Dal punto di vista delle politiche istituzionali occorrerebbe che lo stato, le regioni, le province e i comuni prendessero in mano i loro patrimoni demaniali e li integrassero con nuove acquisizioni nelle campagne e nelle montagne per affidarli in uso a chi intende avviarsi a una vita rurale, oltre a istituire dei mezzi o dei quarti di posti di lavoro di pubblico interesse in quelle zone per stradini, controllori di generatori a vento o a acqua, vigili rurali, insegnanti e sperimentatori di tecniche agricole senza petrolio... dando loro la casa, un pezzo di terra per la sussistenza ecc.
Poi avviare delle settimane di lavoro manuale in campagna per gli studenti di ogni ordine e grado in aiuto ai piccoli coltivatori.
Rendere l'agricoltura di sussistenza una zona franca dal punto di vista fiscale e costituire dei servizi di aiuto all'igiene tradizionale.
Ridurre il numero di studenti necessari a tenere aperta una scuola in campagna o montagna e portare dalle città vicine i ragazzi nelle scuole in campagna, non il contrario come è stato fatto fino ad oggi. Un percorso simile dovrebbe essere disegnato per ogni forma di artigianato manuale da considerare servizio pubblico con case e botteghe attigue da concedere in uso e liberalizzazione dell'apprendistato pagante come scuola a carico pubblico per queste forme di artigianato senza petrolio. Tutto ciò per avviarci verso una nuova economia senza combustibili fossili.

Infine, per dire che un programma politico che preveda il fai da te (inteso come capacità di riusare e di riparare) non è poi così utopistico, vi sottoponiamo questo passaggio del programma di Barack Obama:    
 “Ridurre la quantità e tossicità dei rifiuti che produciamo. Riusare contenitori e prodotti. Riparare ciò che si è rotto o donarlo a qualcuno che sia in grado di ripararlo. Riciclare il più possibile, includendo l’acquisto di beni prodotti con materiali riciclati.
Io penso che, come nazione, dobbiamo approvare norme federali, dandoci degli obiettivi raggiungibili, che impongano a tutti gli stati di riciclare plastica, alluminio, carta, ecc. lavorando ad un processo che ci porti sempre più vicino al traguardo Rifiuti Zero.
Suvvia! Tutti gli animali eccetto l’uomo lo fanno ogni giorno. Noi non pensiamo di essere la specie più evoluta?”.

 

 

4) Da dove partire per stimolare gli scambi di vicinato?

Quando i giovani decidono di metter su casa, si dovrebbe consigliare loro di trovare alloggi vicino a persone e famiglie con affinità simili. Importante è “scegliere da subito le persone con cui abitare, in virtù di un comune sentire basato su sobrietà, solidarietà,condivisione dei compiti, per coniugare la prassi di vita quotidiana con i valori” ( da La rivoluzione dei dettagli di Marinella Correggia)   Formare da subito delle piccole comunità per potersi aiutare reciprocamente negli impegni familiari, nell’aiutare  persone in difficoltà  e nel trovare insieme ambiti dove incidere socialmente e politicamente.
Tante piccole comunità di questo genere, a nostro parere, potrebbero davvero essere il preludio di un mondo nuovo. Esperienze di questo tipo sono le comunità di famiglie di ACF che  mettono insieme anche la parte finanziaria  (http://www.comunitaefamiglia.org/index.php?option=com_content&task=view&... mentre nelle cooperative delle Acli , di  Dar casa , nei GAS di Milano e dintorni si fanno insieme alcune esperienze di tipo ricreativo , culturale, sociale ed economico.
Purtroppo la maggioranza di noi che abbiamo interessi e stili di vita simili vive in alloggi o condomini lontani così che, soprattutto  nei condomini delle grandi città,  è davvero un’impresa ardua riuscire a stimolare rapporti e scambi. Convergono in questi grandi abitati persone con culture e stili di vita molto diversi, persone che vogliono rimanere nell’anonimato e isolate. Anche se l’impresa è difficile,   occorre tentare.

Per iniziare occorre salutare con un sorriso i condomini e iniziare a parlare soprattutto con i loro figli. Quando in casa manca qualcosa, non si deve avere timore a suonare il campanello, chiedendo in prestito un limone, una patata eccetera. Quando c’è in famiglia un avvenimento felice, una nascita, la maturità o la laurea di un figlio, invitare i vicini di casa per un brindisi. Quando si è a conoscenza di un avvenimento triste, malattia, morte, non avere timore a chiedere notizie, ad andare in casa a trovare le persone malate, a fare le condoglianze. Quando si è in cortile far giocare tutti i bambini e parlare con i genitori e i nonni. Queste azioni servono a creare il clima per poter andare oltre.

Invitare i condomini a casa propria o meglio in un locale del condominio creato appositamente, a scambiarsi ricette culinarie ( pane, piadine, pasta, conserve, marmellate, torte), modi di coltivazioni di piccoli orti sul balcone e terrazzo.  Molto utile scambiarci i saperi, dare la possibilità a chi possiede particolari conoscenze, capacità, abilità, informazioni, istruzioni pratiche nel campo dell’autoproduzione di beni e in quello delle riparazioni domestiche  di poterle trasmettere in modo da  non disperdere il sapere acquisito con l’esperienza: riparazioni e manutenzione domestiche, coltivazioni , risparmio dell’energia, confezione di abiti e accessori, costruzione di mobili e piccoli oggetti di uso comune, produzione di detersivi e cosmetici, fino addirittura alla produzione di energia.
Quest’ultimo è un aspetto che ha grandi potenzialità: autoprodurre energia, attraverso la costruzione di pannelli solari, ma anche con la micro-cogenerazione (generazione di energia termica per autoconsumo ed energia elettrica vendibile poi alla rete) è una possibilità non più così remota.

Si potrebbe creare un amministratore di condominio col ruolo di raccogliere le competenze di ciascuno per poi istituire una sorta di banca del tempo condominiale che possa servire sia a svolgere internamente la gestione del condominio (pulizie, spazzatura, piccoli interventi edili, perchè no portineria gestita a turno dagli anziani del palazzo!) evitando di delegarla ad imprese esterne, sia a mettere in contatto fra loro le professionalità e le disponibilità delle singole persone.
E’ possibile iniziare tutto ciò con un piccolo gruppo per poi espanderlo agli altri del condominio.
Utili gli scambi che riguardano la vita quotidiana delle persone: la cura dei piccoli, la cura degli anziani, la cura di fiori e piante, consigli per acquisti, scambio di abiti, riparazione bici, aiuto traslochi, passaggi in auto, spesa, pagamento bollette, piccole commissioni, aiuto per affrontare la pubblica amministrazione, assistenza questioni burocratiche, imbustatura, compagnia,  lezioni di cucito, di tappezzeria, di costruzione di giocattoli.
Un altro ordine di scambi gratuiti riguarda il prestito.
 Il prestito funziona perfettamente per tutta quella serie di oggetti che non sono di uso quotidiano, anzi magari vengono usati una settimana all’anno o poco più: attrezzature sportive (sci, muta, canoa, attrezzatura da arrampicata...), attrezzi per riparazioni particolari (chiavi inglesi, cacciaviti, brugole, tenaglie...), macchine particolari (tagliaerba, imbottigliatrice, macchina da cucire, stampante, fotocopiatrice, fax...), attrezzi da cucina di uso non quotidiano (pentole grandi, set da fonduta, pentole di coccio...), libri, automobile  fino ad arrivare a scambi di seconde case. Esperienze di questo tipo si stanno già avendo con il cohousing (http://www.cohousing.it/).